Un mondo in bianco e nero

Vè nenguènne a cecerille / e lu munne è na nze più bielle /
tutte aredevènta ne cco frechì / ndà li caccenille zempetta tutte lu dì.

Quando nevica, soprattutto quando lo fa fitto fitto, o “a cecerille”, è un mondo né più né meno che in bianco e nero, tutt’al più virato al seppia. Sarà anche per questo che affascina tanto, specie a chi di noi il colore lo ha visto relativamente tardi? È comunque un mondo molto più semplice, per quanto anche più brutale, in cui ti si impongono poche scelte, però chiare, nette. Del tipo: dentro, al caldo (se hai avuto l’accortezza di fare tutte le scorte del caso), oppure fuori, ma ben coperto (sempre se sei stato accorto). Vie di mezzo sostanzialmente non se ne danno, pena incorrere in tutti i rischi (oltre agli eventuali vantaggi, pochi o tanti che siano) che ne derivano.

PS A corredo, sempre in tema di neve e mondo (quasi) antico, un vecchia citazione dal blog originale:

L’allevamento dei maiali era una delle attività più importanti della famiglia colonica marchigiana e ancora oggi, nonostante la paura del colesterolo, i figli inurbati dei contadini e anche i nipoti, i figli dei figli, continuano spesso a fare “le ’mmasciate”, anche se spesso limitandosi a sola “mezza pacca”. In francese, la “pacca”, la metà del porco salata, era detta nel XIII secolo “bacon” […], termine che è rimasto nell’inglese moderno a significare la pancetta affumicata.

Il maiale entra ancora in tipici proverbi ascolani quali “Tocca a lu puorche a jì ’rrète a lu truocche”, cioè “tocca al più debole raccomandarsi a chi è più potente”; e ancora “Lu puorche, quande s’è ’ngrassate, revoddeca la tina” per dire che la gratitudine non è una caratteristica dei maiali.

Oppure in questa espressione che serve a beffeggiare i genitori che cedono ai capricci del figlio unico: “Chi cià nu puorche suli lu fa ’rasse, chi cià nu figghie suli lu fa matte”. E nei modi di dire come “Lu patró pò scannà lu puorche pure jó la coda”, vale a dire “È libero di fare come crede”. “Terà li mele a li puorce” è poi un’espressione assai usata per indicare “una bocciata” e poi qualsiasi cosa andata a male per imperizia. […]

Il norcino, “lu castrì”, è uno dei mestieri pressoché scomparsi, ma è ancora viva l’espressione acquasantana: “Decié lu castrì, pe’ cchemprà lu puorche ce vò li quatrì”, a indicare che bisogna “fare il passo secondo la gamba” nella precaria economia familiare. […]

Quando diventa sufficientemente grasso, generalmente in dicembre-gennaio, [il maiale] viene ammazzato: la “gelata che’ la luna nova”, “a la serena” dicono ad Acquasanta, “lu fermava” in assenza di frigorifero. […] Nelle nostre colline pedemontane, innevate precocemente, si recita la poesia consolatrice: Babbe è ’ccise lu puorche / mamma è fatte lu pà / ningue, ningue, ningue, / ningue se vuó ninguà.

Marco Scatasta, Assonanze e dissonanze nei proverbi ascolani, in AA.VV., I dialetti della Marca ascolana, a cura di Maria Gabriella Mazzocchi, Edizioni Sapere Nuovo, Senigallia, 1997, pp. 85-86.