Passa, passerà, come passa tutto
(7 marzo 2012)
Non hai dati certi; ma l’impressione che succeda a moltissimi traduttori di attraversare, per un motivo o per l’altro, almeno una fase stakanovista, in autentica “fissa” da traduzione, finendo per lavorare anche 12-14 ore al giorno, 6-7 giorni su sette, e praticamente senza una vita vera al di fuori di un contesto traduttivo (anche nei pochi momenti liberi, è diffusa la tendenza a frequentare – virtualmente e non – persone quasi soltanto del ramo), quella sì. Per tanti, questo picco quantitativo spesso coincide anche con un picco qualitativo e creativo: l’euforia intellettuale può fare miracoli. L’unico problema è che è umanamente impossibile proseguire a lungo su quei ritmi pazzeschi (tu ci sei riuscito per non più di tre o quattro anni, con un apice intorno ai 36-37, ma subito dopo hai duramente accusato la botta), perché il corpo (a cui non è che faccia così bene stare tanto a lungo seduti davanti a un computer) o la mente (che rischia di estenuarsi troppo) o altri fattori esterni impongono prima o poi un altolà. A quel punto, tutto sta vedere se uno riesca ad assestarsi senza grossi traumi su livelli di lavoro più moderati ma anche più accettabili, oppure se all’indigestione faccia seguito un vero e proprio rigetto, almeno per qualche tempo. A te, dopo il tuo picco, ora l’una e ora l’altra delle situazioni. E a essere onesti, anche se oggi ti senti complessivamente molto meglio di allora, le traduzioni – e un po’ tutto il mondo che gli gira intorno – non è che siano più riuscite a entusiasmarti come una volta. Sorridi, allora, nel leggere periodicamente commenti di colleghi allo stesso tempo esaltati e stremati dal lavoro incessante. E stai lì lì per commentare a tua volta, spiegando che passa, passerà, come passa tutto. Ma alla fine, denoti questo saggezza o no, ti astieni. Perché passa, passerà, come passa tutto, anche la voglia di commentare, presto o tardi che sia.