Scrivere nei cieli

(21 dicembre 2005)

Negli anni, il più delle volte mi sono trovato a tradurre articoli e saggi sull’attualità, nei quali era quasi sempre presente qualche problema spinoso, passato, presente o a venire: guerre, stragi, disordini, scandali, crisi e via dicendo.

Non è divertente; alla lunga diventa anzi piuttosto pesante. A volte, anche con il rischio di somatizzare quello che traduci.

Sono di conseguenza sempre gradite traduzioni per così dire “più leggere”, con un tocco di colore o una vena di humour: portano una ventata di allegria; da qui, magari riescono anche meglio.

In quest’ottica mi piace riportare il brano seguente, uscito sul britannico «Independent on Sunday» dell’8 settembre 1996, p. 46, con il titolo Writing in The Skies, e riproposto da «Internazionale» nel numero 150 del 4 ottobre 1996, pp. 13-14.

Il nome della stella

Come ha fatto Frank Zappa a diventare un asteroide e Jane Austen un cratere? L’Independent on Sunday spiega come vengono dati i nomi ai corpi celesti

di Norman Miller

LONDRA, 8 SETTEMBRE 1996

Non c’è scampo da Jane Austen – in libreria, al cinema, in televisione – e non pensiate che volgendo lo sguardo al cielo le cose vadano meglio: è anche lassù, che vi fissa dalla superficie di Venere.

Il nome di Jane Austen è stato dato a particolari conformazioni topologiche della superficie di Venere, scoperte dalla sonda spaziale Magellano tra il 1990 e il 1993. La tradizione astronomica vuole che su Venere si assegnino solo nomi di donna. Ecco così che nei cieli Austen diventa un cratere, come Fossey (da Diane Fossey, l’autrice di Gorilla nella nebbia), Kaikilani (primo governatore donna delle Hawaii) e Akiko (una poetessa giapponese). Molti nomi sono stati suggeriti dal pubblico, visto che a un certo punto l’équipe responsabile della missione Magellano si è trovata a corto di idee e ha sollecitato l’aiuto esterno.

Nel corso della storia sono stati adottati vari criteri per l’assegnazione dei nomi alle particolarità morfologiche di pianeti e satelliti del sistema solare. Gli scienziati del passato risiedono pensosi sulla Luna, mentre gli artisti famosi patiscono le pene dell’inferno di Mercurio, insieme alle sonde delle missioni esplorative. I piccoli crateri di Marte hanno i nomi di piccole città; gli dei e gli eroi del firmamento celtico spadroneggiano su Europa, una delle lune di Giove, e i satelliti di Saturno sono dedicati ai grandi della letteratura.

L’esplorazione astronomica, tuttavia, rilancia in continuazione la sfida. Nel 1986, per esempio, la sonda Voyager 2 scoprì ben dieci satelliti intorno a Urano in aggiunta ai cinque già noti, una scoperta che portò una nuova sventagliata di nomi presi dall’universo shakespeariano e mitologico: da Cordelia a Puck.

Il compito ufficiale di assegnare i nomi ai corpi celesti spetta al Working Group on Planetary System Nomenclature dell’International Astronomical Union (Iau) che battezza ogni anno un centinaio di oggetti dalla sua sede presso lo Smithsonian Astrophysical Observatory di Cambridge, Massachusetts. Gli asteroidi (anche detti pianetini) tengono sempre aperto il gioco dei nomi perché se ne scoprono in continuazione di nuovi, tanto che un quinto dei 6.500 pianetini, le cui orbite sono state accuratamente calcolate (la regola vuole che si assegni loro prima un numero), è ancora senza nome. Il ritmo delle scoperte – solo nel 1990 si sono contati 384 nuovi pianetini – mantiene alta la pressione.

Se i classici non bastano più

In passato le cose erano molto più semplici. Quando l’astronomo italiano Giuseppe Piazzi scoprì il primo dei pianetini nel 1801, non era altro che l’ottavo corpo celeste noto entro il sistema solare. Eppure, anche allora ci furono dei problemi di nome. La scelta iniziale di Piazzi di chiamare l’asteroide Cerere Ferdinandea, in onore di Ferdinando IV re di Napoli, spinse altri astronomi a cercare nomi alternativi, come Era, finché tutti si accordarono per il vecchio Cerere, dal nome della dea latina delle messi. Questa scelta di assegnare un nome classico di donna divenne poi la consuetudine, e fino alla metà del Diciannovesimo secolo si procedette in questo modo con i più di cinquecento asteroidi via via scoperti. Poi cominciarono a scarseggiare i nomi classici. Si accese allora un vivace dibattito tra quegli astronomi che volevano continuare con la tradizione classica e quelli che accusavano i primi di snobismo dogmatico. Alla fine si raggiunse un compromesso in base al quale divenne possibile utilizzare i nomi di città e perfino i nomi di personaggi maschili, resi al femminile con l’aggiunta del suffisso “a” o “ia”, e questa pratica è andata avanti fino alla Seconda guerra mondiale. Ecco così strani nomi come Disneya (in onore di Walt Disney) e Planckia (dal fisico Max Planck).

L’esorbitante numero di nomi che serve per gli asteroidi permette di dar libero sfogo alla fantasia, purché siano rispettate le regole dell’Iau che riguardano i riferimenti politici, militari e la lunghezza. Gli astronomi ne hanno approfittato riservando circa un quarto dei nomi a loro stessi. E da qualche anno sono sempre più frequenti le incursioni nei territori della cultura popolare. Un esempio è dato dai vari giganti del rock [rock giants] diventati rocce giganti [giant rocks] in orbita nello spazio.

Se non sorprende che i nomi dei Beatles siano stati assegnati a un quartetto di asteroidi, chi si sarebbe mai immaginato che uno dei primi musicisti rock a vedersi intitolato un asteroide fosse Carlos Santana? Talvolta sono le pressioni dei fan a influire sulle decisioni dell’Iau, come nel caso dell’asteroide 3.834 che ha ricevuto il nome Zappafrank un anno dopo la morte del grande Frank Zappa. Anche Ella Fitzgerald è in lista d’attesa per un monumento commemorativo nell’oscurità dello spazio.

Da Spock a Einstein

Gli avvenimenti mondani hanno sempre influito sui nomi proposti per i corpi celesti; quest’anno c’è stata un’improvvisa passione per i nomi del mondo dello sport. La febbre olimpica ha fatto sì che Jesse Owens e Emil Zatopek ricevessero il giusto riconoscimento nei cieli. Ai fan di Dr Who, nel frattempo, farà piacere sapere che c’è un asteroide di nome Tardis, mentre i fan di Star Trek possono mettersi in cerca di Spock – sebbene il nome si riferisse inizialmente al gatto fulvo dello scopritore dell’asteroide e non direttamente al vulcaniano dalle orecchie a punta della famosa serie televisiva. Ci si aspetterebbe che il pianetino 2001 avesse un qualche riferimento con il film 2001: Odissea nello spazio, ma non è così. Le opzioni ovvie di Kubrick o Clarke non possono competere con il nome di Einstein: la leggenda della fisica, infatti, ha il suo bel pianetino e anche il suo cratere lunare.
Gli affetti familiari sono molto sentiti nella cintura degli asteroidi, visto che molti astronomi scelgono di chiamare gli oggetti da loro scoperti con i nomi delle persone più care e vicine. L’esempio estremo è probabilmente costituito dalla coppia di astronomi Carolyn e Eugene Shoemaker, il cui albero genealogico di pianetini sta raggiungendo i venti componenti, ognuno indicato con il nome di un familiare, fino a comprendere nonni e zii acquisiti. Se nessuno ha da ridire su questo quadretto di famiglia, Carolyn Shoemaker si è trovata invece coinvolta in una controversia in fatto di comete.

Diversamente dagli asteroidi, il cui nome è scelto dai loro scopritori, le comete prendono direttamente il nome degli scopritori. Se questo sistema sprona gli astronomi dilettanti, la cosa crea qualche problema all’Iau quando la scoperta è di astronomi professionisti che lavorano in gruppo.

Lavorando con David Levy, gli Shoemaker hanno scoperto diverse comete, la più famosa delle quali è forse la Shoemaker-Levy 9, salita con il suo doppio nome all’onore delle cronache in occasione dello spettacolare impatto con Giove nel 1994. Carolyn Shoemaker pretendeva che ogni membro del suo gruppo di lavoro comparisse nel nome della cometa, anche se la scoperta vera e propria l’aveva compiuta lei analizzando le foto. Brian Marsden, dell’Iau, si è opposto, obiettando che era come se si volesse includere il nome del costruttore del telescopio.

Questo tipo di problemi cominciarono negli anni Venti quando due astronomi di Amburgo, Schwassian e Wachmann, ebbero dall’Iau il permesso di attribuirsi la scoperta congiuntamente. Le cose andarono peggio nel 1939 quando furono tre i nomi a venire riuniti per indicare la cometa Juriof-Achmarof-Hassel. Alla fine, il risultato non proprio piacevole è stato un’accozzaglia di nomi sparsi per il sistema solare, con combinazioni come Hooda-Mrkos-Pajdusakova, Tuttle-Giacobini-Kresak e Du Toit-Neujmin-Delport che fanno pensare a importanti agenzie pubblicitarie più che a delle comete.

Il problema delle comete è stato ora risolto dall’Iau, che ha introdotto un sistema di numerazione che avrà la precedenza sui nomi e che consiste nell’usare l’anno e il periodo della scoperta seguiti da una lettera che starà a indicare se la cometa è periodica con periodo breve (come quella di Halley), periodica con periodo lungo, oppure non meglio determinata. In tal modo verrà un po’ meno il clima da luci della ribalta che investiva il gioco dei nomi.
La tentazione di far soldi con le scoperte è un ulteriore pericolo, e alcuni astronomi cercano di mettere ai loro ammassi rocciosi nomi che producano vantaggi commerciali per sé o per gli amici. Ma se da un lato è fermamente contrario a forme di “affarismo sfacciato”, Marsden si mostra più permissivo verso nomi che possono portare un po’ di “moneta” nelle tasche degli astronomi ridotti al verde.

Prima che ci fosse l’Iau, però, posti come la superficie della Luna non avevano nulla da invidiare al selvaggio West, nessun nome poteva dirsi certo dal momento che ogni nuovo selenografo poteva sostituire i nomi assegnati da chi l’aveva preceduto con altri di sua scelta, in una vera e propria lotta darwiniana per vedere chi avesse la meglio.

Il business degli astri

La mano ferma dell’Iau sul sistema dei nomi lascia intendere che lì dentro non sono molto contenti quando sentono parlare di aziende che promettono di “dare il vostro nome a una stella” – naturalmente dietro pagamento di una consistente somma di denaro. La denominazione delle stelle è una faccenda a sé, ma dei milioni che ce ne sono già, solo nella nostra galassia, appena 650 hanno ricevuto dei nomi propri – e il metodo principale di assegnazione consiste in versioni codificate delle loro coordinate astronomiche. Sono forse solo una cinquantina i nomi propri comunemente in uso tra gli astronomi, per quanto la fantascienza ha fatto conoscere un po’ dappertutto nomi come Betelgeuse – uno dei molti nomi di origine araba. Ma c’è un’impressionante quantità di stelle senza nome, e sono molti i tentativi di società che si presentano con un’aria di ufficialità e che cercano di sfruttare le circostanze giocando sull’ignoranza della gente. Per cifre che vanno dalle 55 sterline (circa 130mila lire) in su, promettono di assegnarvi una stella tra il milione e passa che figurano nell’Hubble Guide Star Catalogue e vi spediscono a casa un certificato dove si dice che la stella in questione ora si chiama Arsenal Winger, Betty Boo o quant’altro da voi scelto, e si aggiunge che la cosa è ufficiale poiché si è provveduto a registrare il nome in vari uffici sparsi per il mondo.

Risparmiate i vostri soldi. Meglio ancora: coi soldi risparmiati, comprate un telescopio. Se volete davvero dare il vostro nome a qualcosa nello spazio, scoprite una cometa o un asteroide. Oppure cercate semplicemente di imporre il nome del vostro cantante rock preferito, se gli capita di morire. (nm)