Quando impariamo una nuova lingua

(26 dicembre 2005)

Tra le traduzioni del 1997 ce ne furono molte, forse la maggioranza, di taglio divulgativo-scientifico. In particolare, furono diversi gli articoli che riportavano i risultati di recenti ricerche sul funzionamento del cervello mediante Mri (visualizzazione funzionale tramite risonanza magnetica). Tra questi, resto molto affezionato – per ovvi motivi – a quello che segue, uscito sul «New York Times» del 15 luglio 1997, sezione C, p. 4, con il titolo When an Adult Adds a Language, It’s One Brain, Two Systems, e riproposto da «Internazionale» nel numero 198, 12 settembre 1997, pp. 44-45.

Un cervello per tante lingue

Per l’apprendimento delle lingue usiamo strategie diverse a seconda dell’età. Uno studio americano migliora la comprensione del bilinguismo

di Sandra Blakeslee

I bambini imparano a parlare una seconda lingua con apparente facilità. Ma bastano pochi anni perché questo compito si trasformi in un fastidioso rompicapo. Alcuni ricercatori di New York hanno cercato di scoprire il perché. Servendosi delle tecniche di visualizzazione del cervello, che permettono di localizzare le aree cerebrali in funzione durante le attività cognitive, gli studiosi americani hanno così contribuito alla comprensione del plurilinguismo.

NEW YORK, 15 LUGLIO 1997

Le migliaia di liceali che hanno sudato sangue per imprimere nei loro neuroni recalcitranti il francese insegnato a scuola avrebbero dovuto sospettarlo: a seconda dell’età a cui le si impara, le seconde lingue non vengono immagazzinate nelle stesse zone del cervello. E’ ciò che emerge da un recente studio i cui risultati sono stati appena pubblicati su Nature.

Secondo gli autori di questa ricerca, i bambini che fin dalla nascita apprendono – apparentemente senza fatica – due diverse lingue, utilizzano un’unica regione cerebrale per elaborare enunciati complessi. Ma coloro che hanno cominciato lo studio di una seconda lingua nell’adolescenza o in età adulta possiedono due zone distinte, una per ciascuna lingua.

Queste osservazioni gettano una nuova luce sulle questioni estremamente complesse che attengono allo sviluppo del cervello: come si organizza il linguaggio nel bambino, e come si traduce il plurilinguismo nella corteccia cerebrale? Perché certe zone dopo l’infanzia sembrano immutabili mentre altre risultano flessibili e malleabili anche durante tutta l’età adulta? Perché è più difficile apprendere le lingue passata una certa età?

I ricercatori pensavano che per la lingua madre e per la seconda lingua il cervello ricorresse ad aree differenti, spiega Michael Posner, psicologo dell’Università dell’Oregon, a Eugene. Gli epilettici bilingue, di fatto, durante una crisi possono perdere la facoltà di parlare una lingua, ma non l’altra. Allo stesso modo, un attacco cerebrale può privare definitivamente un individuo della sua conoscenza del francese, mentre continuerà a potersi esprimere in inglese o in un’altra lingua. “Ciò che ignoriamo è come si formano nel cervello queste distinte aree linguistiche”, sottolinea Posner. “Le lingue si mischiano? Si alimentano l’una dell’altra? L’una traduce l’altra?”. Lo studio mostra per la prima volta che una stessa porzione di tessuto cerebrale può ospitare due lingue distinte. “Questa scoperta si rivela molto utile per la comprensione del bilinguismo”, aggiunge Posner.

Vedere il cervello all’opera

I ricercatori sono stati guidati da Joy Hirsch, responsabile del laboratorio Mri dell’ospedale Memorial Sloan-Kettering di New York, assistito da uno studente del terzo ciclo, Karl Kim. La visualizzazione funzionale del cervello tramite risonanza magnetica – o Mri – è una tecnica non traumatizzante relativamente recente, che permette di localizzare con grande precisione le zone del cervello in funzione durante attività cognitive come il linguaggio, la visione, il movimento di un braccio o l’immaginazione. In questo ospedale, i chirurghi utilizzano ormai questo metodo per identificare le regioni critiche del cervello. Evitano così che un intervento per un tumore o un’altra anomalia non comporti più danni che benefici.

Di queste zone la più delicata è forse l’area del linguaggio, afferma il dottor Philip Gutin, primario del reparto di neurochirurgia dell’ospedale. Alcune funzioni come la vista o l’udito sono localizzate in entrambi gli emisferi cerebrali. In caso di tumore i chirurghi possono dunque incidere dei tessuti senza causare grossi danni, dato che a svolgere le stesse funzioni subentrerà la regione corrispondente nell’altro emisfero del cervello.

Un’area preziosa

“Ma l’area del linguaggio è infinitamente preziosa”, precisa Gutin. Alcune delle sue funzioni più complesse sono in genere localizzate in un solo emisfero del cervello. Incidendo un frammento di tessuto, per quanto piccolo sia, i chirurghi rischiano di asportare una zona di produzione del linguaggio e di distruggere la facoltà di esprimersi in inglese o di comprenderlo. Inoltre, aggiunge il neurochirurgo, le aree del linguaggio non sono mai situate esattamente nello stesso posto. Si sviluppano nel bambino nel momento in cui comincia ad apprendere il linguaggio, e la loro collocazione varia da individuo a individuo. Poiché un quarto dei tumori al cervello colpisce regioni dove possono essere in gioco le funzioni del linguaggio, è indispensabile che la visualizzazione sia estremamente precisa.

Per determinare dove hanno sede nel cervello i processi linguistici, Joy Hirsh è ricorso a dodici newyorkesi bilingue e sani. In tutto erano rappresentate dieci diverse lingue. La metà dei volontari ne aveva apprese due fin dalla primissima età. Gli altri avevano cominciato a studiare una seconda lingua verso gli undici anni, per padroneggiarla appieno verso i diciannove, dopo aver soggiornato nel paese dove si parlava la lingua in questione. Con la testa dentro l’apparecchio per l’Mri, ogni volontario doveva ricordare come aveva passato il giorno prima, utilizzando frasi complesse, prima in una lingua, poi nell’altra. Rilevando gli aumenti del flusso sanguigno, l’apparecchio localizzava la regione del cervello che generava il pensiero corrispondente.

I diversi aspetti della capacità linguistica si ripartiscono su tutta la corteccia, spiega Hirsh. Tuttavia, alcune zone estremamente attive si concentrano unicamente nell’emisfero sinistro. Ma le si può anche trovare unicamente a destra, nel punto esattamente corrispondente a quello di sinistra, o ancora in tutti e due gli emisferi, disposte in modo simmetrico. Si tratta da un lato dell’area di Wernicke, una regione che controlla la comprensione delle parole e la semantica, e dall’altro dell’area di Broca, sede del linguaggio articolato e delle regole grammaticali complesse.

Differenze sorprendenti

Secondo i risultati dello studio, nessuno dei dodici volontari dispone di due aree di Wernicke distinte. In un paziente anglofono e ispanofono, per esempio, la semantica dell’inglese e quella dello spagnolo facevano riferimento alla stessa zona.

Di contro, le differenze osservate per l’area di Broca erano sorprendenti. I bilingue dalla nascita possedevano una sola area di Broca uniforme, corrispondente a un frammento di tessuto di circa 30mila neuroni chiamati a operare per tutte e due le lingue. Viceversa, coloro che avevano appreso una seconda lingua nell’adolescenza sembravano aver sviluppato un’area di Broca divisa in due zone indipendenti. Una sola di queste era attivata per ogni lingua. Le due zone, sebbene vicine, erano sempre ben distinte e la loro superficie era press’a poco uguale. Da qui la conclusione che ne ha tratto Joy Hirsh: per l’apprendimento delle lingue il cervello utilizza strategie diverse a seconda dell’età. Un bambino impara a parlare servendosi di tutte le sue facoltà – udito, vista, tatto e movimento. Quando le cellule dell’area di Broca si sintonizzano su una o più lingue, si specializzano. Se durante questo periodo il bambino impara due lingue diverse, queste ultime si intrecciano.

I ragazzi che imparano una seconda lingua alle scuole superiori devono invece acquisire delle nuove capacità per produrre i suoni complessi del nuovo idioma, il che spiega probabilmente le difficoltà di apprendimento riscontrate in questa fase. Infatti, poiché l’area di Broca è già consacrata alla lingua materna, viene creata una zona ausiliaria. Ma l’area di Wernicke, che controlla gli aspetti semantici più semplici del linguaggio, può parzialmente supplire a queste funzioni. (nm)