L’anno del big bang

(20 dicembre 2005)

E finalmente venne l’anno – il 1996 – in cui cominciai a tradurre sul serio.

Chiave di volta, di nuovo, una traduzione per diletto; per meglio dire, una prova volontaria di traduzione di un certo livello.

Grazie a internet avevo ormai facile accesso a moltissimi testi in originale di qualità elevata, così potevo scegliere – da leggere e, eventualmente, tradurre e proporre – quelli a me più congeniali o che mi interessavano di più.

A inizio marzo del 1996 mi misi dunque a lavorare su un pezzo lungo (una trentina di cartelle) dello statunitense «Atlantic Monthly» del mese precedente, scritto da James Fallows e intitolato Why Americans Hate the Media. A traduzione ultimata e rivista, stampai il tutto, originale compreso, lo misi in una cartellina insieme a un curriculum e, presa l’abituale corriera per Roma, una mattina (se non erro, il giorno del mio trentesimo compleanno) mi presentai di persona, e senza preavviso, alla redazione del settimanale «Internazionale» (all’epoca, in via Sicilia), chiedendo se cortesemente potevano prenderla in esame: se non per la pubblicazione, almeno come prova valutativa.

Fu in questo modo che, una mesata dopo, ricevetti una mail che mi informava che, sebbene la mia prova non sarebbe stata pubblicata poiché troppo lunga, presto mi sarebbero state proposte delle traduzioni di articoli. Tempo qualche altro giorno e così fu, con l’inizio di quella che tuttora considero la mia collaborazione più importante, sotto ogni punto di vista.

Il primo pezzo commissionato fu un articolo di Ralph T. King Jr., dal «Wall Street Journal» del 26-27 aprile 1996, intitolato How a Drug Firm Paid For a University Study, Then Undermined It (in italiano: Il segreto del Synthroid, «Internazionale», n. 148, 20 settembre 1996). Il primo pubblicato (n. 138, 12 luglio 1996) fu però il secondo, tradotto a una settimana dall’altro: The day time began, dell’astrofisico e divulgatore scientifico di fama internazionale Paul Davies, uscito su «New Scientist» del 27 aprile 1996.

E difficilmente ci sarebbe potuto essere inizio migliore: 1) questo significava che i miei precedenti studi di fisica non erano stati del tutto inutili; 2) il titolo Il giorno che cominciò il tempo era senz’altro di buon augurio.

Di fatto, da lì in avanti sarebbero cominciate a cambiare – in meglio – molte cose.

Sotto tanti aspetti, quindi, quella traduzione fu per me un vero e proprio big bang (che, tra l’altro, mise fine a quanto di travagliato poteva esserci stato prima).

Il finale:

[…] Si può anche determinare se c’è qualcosa di inusuale o speciale nell’insieme di leggi che caratterizza l’universo osservato rispetto ad altri possibili universi. Forse le leggi osservate sono per qualche verso l’insieme ottimale, producendo la massima ricchezza e varietà di forme fisiche. Può anche essere che l’esistenza della vita o della facoltà intellettiva si riconnettano in qualche modo a questa straordinarietà. Tutte queste sono questioni aperte, ma credo che costituiscano un terreno di incontro tra scienza e teologia assai più fecondo che non l’indugiare sulla nozione screditata di che cosa è accaduto prima del big bang.