Prime traduzioni
(24 novembre 2008)
[Della serie: come ricavare molto da poco – relativamente parlando – quando ci sono slancio, entusiasmo, passione, intraprendenza, pazienza, visione, e la fortuna un po’ assiste. Con una doverosa aggiunta: ci piaccia o no / è vita di rinunce / il traduttore.]
Verso la fine di agosto del 1991 feci un breve viaggio a Londra; al ritorno, tra le altre cose, riportai a casa una copia di «The Independent».
(Erano i giorni del tentato colpo di stato contro Gorbaciov nell’allora Unione Sovietica, e, per quel che potevo, anche dalla capitale inglese seguivo che cosa stesse succedendo dalle parti di Mosca.)
Proprio quel quotidiano mi sarebbe venuto utile un paio di mesi dopo (forse ottobre, forse inizio novembre), quando mi risolsi a scrivere alla rivista di cui in quel periodo ero innamorato perso, «Lettera internazionale», per chiedere se ci fosse la possibilità di fare delle traduzioni (molti dei pezzi pubblicati erano infatti tradotti).
Non avendo ancora nulla nel mio lacunoso curriculum che potesse accreditarmi come traduttore, decisi di allegare una prova, traducendo uno degli articoli di quella copia dell’«Independent» che secondo me più si adattavano alla linea editoriale di «Lettera».
Passarono diversi mesi senza una risposta.
Nel maggio 1992, quando avevo ormai perso ogni speranza, ricevetti invece una lettera del direttore Federico Coen, con il consiglio, qualora fossi andato a Roma, di passare in redazione (allora in via della Dogana Vecchia, dietro al Pantheon), dove avremmo fatto conoscenza e mi avrebbe dato uno dei loro articoli, come prova.
Così feci, pochi giorni dopo, e tornai a casa, tutto eccitato, con il mio primo pezzo serio da tradurre: un saggio breve di David Ost, sulla crisi del liberalismo in Polonia. Non sarebbe stato pubblicato (era solo una prova), ma a stretto giro di tempo ricevetti un nuovo articolo (di Shlomo Avineri, sull’eredità di Marx), questo sì per la pubblicazione.
E – ta-da! – nel novembre del 1992, a un anno della mia candidatura iniziale, realizzai il sogno, fino ad allora quasi insperato, di vedere il mio nome stampato su una rivista, associato a una traduzione.
Da lì, per gradi, avrei abbracciato l’idea di diventare un giorno traduttore di mestiere, avviandomi, pressoché da autodidatta, lungo un percorso tutt’altro che facile, spedito, rettilineo o continuo, ma alla fine fonte di soddisfazioni.
Per questo devo essere particolarmente grato, oltre che a «Lettera internazionale», a quel breve viaggio a Londra dell’agosto 1991; a quella copia dell’«Independent» che mi riportai dentro uno zaino pesantissimo; soprattutto, a quel primo articolo che tradussi come prova.
L’ho ritrovato (non la traduzione, battuta a macchina e di cui non ricordo se feci una copia): è il necrologio di Rüdiger Görner per la morte, il 21 agosto 1991, dello scrittore tedesco Wolfgang Hildesheimer, noto soprattutto per una biografia di Mozart (di recente ripubblicata dalla Bur. Tradotti in italiano risultano anche due romanzi, Leggende spietate e Falsi falsari, entrambi da Marcos y Marcos, 1993 e 1999; e, da tempo non ristampati, Tynset e Marbot: viaggio immaginario tra i grandi dell’Ottocento, rispettivamente Rizzoli 1968 e Frassinelli 1985. Centrale nell’opera di Hildesheimer è il tema del fallimento e dell’incapacità di superare le proprie ansie e inquietudini).