Venticinque anni fa
Venticinque anni fa, la strage di Capaci: il ricordo c’è, ma è molto sfocato. C’è cioè ricordo della notizia con l’edizione straordinaria dei vari telegiornali e notiziari radio, ma – e qui forse ricordo male – non con il risalto estremo di oggi quando succede qualcosa di grave. Non mi pare invece che di colpo si paralizzasse tutto quanto e non si discutesse di altro: per com’erano quegli anni, fu un avvenimento che in qualche modo era stato messo in conto, dunque colpì ma – ho questa vaga impressione – non come colpirebbe se qualcosa di simile avvenisse oggi o come colpisce oggi a ogni sua rievocazione.
In questo mio ricordo sfocato forse influisce anche il fatto che da lì a poche ore sarei partito in treno da San Benedetto del Tronto, poco dopo la mezzanotte, per Torino, per il mio primo Salone del libro, in una estenuante e accaldata toccata e fuga domenicale, con viaggio di ritorno di nuovo nella notte e arrivo a SBT all’alba, con carico di libri, cataloghi, giornali, inserti (non ultimo a sfondo traduttivo. Vedi qui) e uno o due regali per la nipotina unenne.
Si sovrappongono dunque i ricordi di due eventi, in concomitanza di questa data: uno tristissimo e uno felicissimo. Ciò fa sì che, di fatto, non ci sia un ricordo preciso di nessuno dei due, di quelle ore così convulse e movimentate: solo la sensazione che fossero giorni tragici e dolenti, ma allo stesso tempo abbastanza aperti al nuovo, dunque dinamici e a tratti anche euforici.
Giorni tragici e dolenti sono anche quelli di oggi, a ogni nuovo attentato, sostanzialmente; se siano allo stesso tempo aperti al nuovo, al futuro, anziché reclinati di più sul vecchio, sul passato, o più banalmente fermi, statici, e quindi spenti, non so invece dirlo.