Cronache di un agosto-settembre di vecchie letture e nuove risoluzioni
Ho scritto un post, ieri, su Le didascalie…
“Eh? Che novità è mai questa?” Domanda più che legittima. Vabbe’, diciamo che questo settembre ho voluto provare anche l’esperienza di Substack, così ho aperto prima uno spazio personale intitolato appunto Le didascalie – vedi post inaugurale – e in seguito anche uno a più mani, intitolato Scritture, per portare avanti e possibilmente espandere il lavoro fatto con l’esperimento di Assaggi – scritture dal vero. Il tutto con la scusa di familiarizzare con la piattaforma di Substack, ma in realtà per un bisogno di cimentarmi in qualcosa di nuovo, dopo anni in cui anche nell’utilizzo della Rete mi sembrava di non aver fatto più passi avanti. E poco importa se poi, in concreto, i primi materiali pubblicati siano stati testi vecchi, riciclati: già il frequentare un ambiente nuovo è di per sé positivo, ti obbliga a guardarti intorno, vedere quello che fanno gli altri, imparare da loro, e poco alla volta forse anche tu comincerai a muoverti diversamente, fino a trovare un nuovo e più consono modo di ragionare, di esprimerti e di fare.
Ma tornando all’inizio, stavo dicendo che ieri, su Le didascalie, ho scritto un post in cui facevo un rapido consuntivo delle letture di questo 2024 e, in particolare, indicavo il mio libro preferito dell’anno: scelta, sulla base di tutte le volte che l’ho citato in giro, caduta in realtà su un volume datato e fuori catalogo, ovvero La scoperta del mondo 1967-1973 di Clarice Lispector, una raccolta delle sue “crônicas” settimanali per il «Jornal do Brasil», appunto dal 1967 al 1973.
È una lettura che ha mi tenuto compagnia per tutta la prima metà di agosto, fornendomi non pochi spunti di riflessione e, in un certo senso, spronandomi a rimettere mano io stesso a delle piccole “cronache”: brevi annotazioni, sottratte al calderone del chiacchiericcio e delle immagini e dei like su Facebook, riversate in un quadernetto semi dismesso su Tumblr – le maculae, embrione originale di quello che sarebbe prima diventato un omonimo blog su WordPress.com e infine il blog qui presente (vedi filosofia dichiarata), dopo aver chiuso con l’esperienza delle fogliedivite, ovvero il vecchio, storico, espanso blog.
E allora, proprio perché da queste annotazioni agostane ha preso il la il successivo rimescolio settembrino dell’intera mia presenza in Rete (compreso l’approdo definitivo a Bluesky, transfugo da un ormai inguardabile e indigeribile Twitter/X), sotto ne ripropongo l’intera sequenza.
#0 Si poteva desiderare di starsene per un po’ in disparte e allo stesso tempo sentire il bisogno di un taccuino sempre a portata di mano dove all’occorrenza annotare quello che passava per la testa. Si rispolverava allora un vecchio e inutilizzato quadernino in Rete.
#1 Troppi tasselli da troppo tempo non s’incastravano in modo congruo e soddisfacente. Palese la necessità di ripensare e ripensarsi a fondo.
#2 Dove stava scritto che ad agosto bisognasse pensare più che altro a spassarsela? Per lui agosto era un mese generalmente pessimo, che arrecava poco o nulla in termini di autentico buonumore; trovava anzi che la spinta diffusa a una sorta di divertimento obbligatorio o a fare comunque qualcosa di diverso rispetto al resto dell’anno spesso si traduceva solo in un incremento significativo dei livelli di tristezza, nervosismo e persino irritabilità. Per sottrarsi a tale deriva ed evitare di ricadere in situazioni già ampiamente sperimentate, preferiva perciò vivere quel mese come un momento di massimo distacco, riducendo di conseguenza al minimo uscite, frequentazioni, interazioni e simili. Preferiva rimanere a casa e leggere, studiare, approfondire, o semplicemente dormire. Settembre sarebbe stata un’altra storia.
#3 Iniziavano i dieci giorni – quelli subito prima e subito dopo Ferragosto – forse più molesti e avvilenti dell’anno, per chi non trovava nulla che lo affascinasse veramente, nulla che lo emozionasse nel profondo, nulla che lo scardinasse dal suo ritrarsi con estremo disincanto e pessimismo da un mondo di cui non si sentiva parte, di cui non condivideva quasi per niente abitudini e gusti, da cui voleva solo essere lasciato in pace, nell’abbraccio tenue della sua rassegnata solitudine.
#4 Se c’era una cosa di cui aveva assoluta certezza era aver letto troppo poco e allo stesso tempo aver letto troppo, in tutti gli anni da quando aveva imparato a leggere. Ed era ancora così: leggeva sempre troppo poco, per giunta troppo lentamente, per potersi considerare un vero lettore forte, e allo stesso tempo leggeva sempre troppo, per non esserne fortemente condizionato. Avendo letto e leggendo di più, molto sarebbe potuto andare diversamente, allo stesso modo che se avesse letto di meno. Leggere quindi non bastava mai, ma allo stesso tempo leggere poteva essere di troppo, un intralcio, un impedimento, un freno, una palla al piede che rendeva tutto molto più complicato.
#5 Ecco, sì, avrebbe fatto bene a smettere di scrivere direttamente sullo schermo di un telefono o di un tablet: da quando aveva iniziato a farlo, da quando erano diventati tutti dei “Pollicini”, secondo la definizione di Michel Serres, non risultava che le cose fossero migliorate. Con buona pace delle analisi ottimistiche dello stesso Serres.
#6 E insomma, si erano pappati pure quel ferragosto. Festa religiosa e civile che, come molti anni addietro gli aveva scritto immalinconita un’amica, in un’email inviata proprio quella mattina, segnava l’inizio della fine dell’estate; da qui la sensazione non esattamente di gioia che in tanti suscitava, per l’imminente rientro nei ranghi di una vita ordinaria e chissà quanto poco soddisfacente. In altri prevaleva viceversa il sollievo del lasciarsi presto alle spalle giornate di caldo feroce, o più ancora giornate capaci solo di intorbidire umori già grigio-bluastri di loro. E lui? Lui se n’era rimasto tranquillo a casa, uscendo giusto per una visita al cimitero e comprare del pesce fritto in quel che rimaneva di un’antica fiera in disarmo in un paese vicino. Il cervello piacevolmente stordito dall’alcol di una birra gelata prima di pranzo, cui si era aggiunto il vino cotto allungato con acqua al momento di mangiare, non aveva provato sentimenti speciali; sudando non poco, benché solo in mutande, si era presto assopito su un divano, mentre fuori cominciavano ad allungarsi le ombre di nuvole imperiose che si levavano dalle vette degli Appennini centrali. E ora era lì, sulla soglia dello studio, sempre in mutande, che osservava quel cielo grigio che prometteva un temporaneo refrigerio.
#7 All’ennesimo “bisognerebbe” che le sue dita digitavano sulla tastiera, decise che era ora di piantarla con i “bisognerebbe”. Quindi cancellò tutto quello che aveva scritto fino a quel momento e ripose il portatile, dentro di sé le parole “bisognerebbe fare così più spesso”.
#8 Fosse riuscito a conservare anche nei mesi a seguire la capacità di leggere in modo assiduo e pressappoco metodico che aveva contraddistinto quell’estate di ampio tempo libero a disposizione e ridotte concessioni al mondo esterno, si sarebbe potuto ritenere più che di soddisfatto di sé, di quella rinnovata attitudine a concentrarsi al massimo sui suoi veri interessi, tralasciando invece tutto quanto non gli arrecasse il benché minimo piacere.
#9 Riorganizzare. Dare nuova forma, nuova sostanza, nuova potenza espressiva, nuova complessità, anche nuova radicalità, al proprio universo, ai propri interessi, al proprio particolarissimo intendere la vita. Così pensava, così scriveva, così intendeva procedere.