Al chiuso e all’aperto

Eccoci lì ieri pomeriggio, per la Giornata FAI di primavera 2013, in visita al cosiddetto Eremo dannunziano di San Vito Chietino.

Sarà la concomitanza dei 150 anni dalla nascita del Vate abruzzese; sarà la morbosa curiosità per le sue gesta amatorie (ciò che probabilmente più continua ad attrarre in lui), con quelle cinquanta amanti ufficiali minuziosamente catalogate e numerate a posteriori; sarà quel collezionismo d’accatto per piccoli e grandi appuntamenti capaci di nobilitare – ma è pura illusione – un’esistenza individuale e collettiva altrimenti piuttosto monotona e grigia; saranno questi, saranno altri motivi, fatto sta che è il pienone, parcheggiare è un’impresa e ancora di più trovare posto dentro l’“eremo”.

E tutto per vedere per pochi minuti, in gruppi da venti e con l’ausilio di giovani ma valenti ciceroni (checché ne pensi il damerino, in lezioso cappottino grigio azzurro e guanti di pelle marrone cuciti a mano, sempre pronto a opinare un’obiezione, compresa quella su una presunta collezione dannunziana di peli pubici femminili) una stanza posticcia: quella camera – con arredi per niente originali – che per due mesi nell’estate del 1899 D’Annunzio condivise con Barbara Leoni, l’amante ufficiale numero 5 (le cui ossa dal 2009 sono state traslate in quella casa già rurale, per volontà degli attuali altolocati proprietari: un gesto che istintivamente definiresti di cattivo gusto, una trovata solo a sfondo voyeuristico-pubblicitario. Magari sbagli, ma è l’impressione che ne hai ricavato).

Molto più gustoso il giardino, a essere onesti, con almeno un ulivo secolare e diverse piante rigogliose di arance amare, limoni e persino cedri. Molto più attraente il mare smeraldo – ieri rissoso e spumeggiante – dell’impervia Costa dei Trabocchi, ora minacciata da improvvidi progetti di estrazione e raffinazione del pessimo petrolio dell’Adriatico.

Insomma, molto meglio gli spazi aperti che quelli chiusi e in cui si pretende di racchiudere anche ciò che non vi è mai stato.