Una sòla elevata
“Bisogna elevarsi” dice lui. “Frequentare persone e ambienti che stimolino e facciano crescere, e non rattrappirsi ogni giorno di più sul proprio ombelico o, peggio, dietro alla mediocrità senza fine che ci circonda.”
“Sono d’accordo” dice lei.
“Bene” dice lui. “Che ne dici allora se stasera andiamo a vedere quel concerto di David Sylvian di cui poco fa abbiamo visto il manifesto? Non ne so niente ma, dato il personaggio, sarà di sicuro degno di nota.”
“Oh, sì, andiamo dài.”
Vanno i due, trovano per il rotto della cuffia due biglietti alla cassa, mentre il concerto è appena iniziato, di gente che non li ha ritirati. Si siedono, al buio, senza disturbare, ai posti numerati, in galleria.
Passa un’ora scarsa, lui rischia più di volte di addormentarsi, lei più volte è lì lì per chiedergli di andar via, ma di botto musica e immagini finiscono, i tre sul palco accennano un breve inchino e se ne vanno.
Qualcuno dal pubblico applaude, ma senza grande entusiasmo. La maggioranza tace, pensa sia solo un intervallo. Il concerto è in realtà finito. Gli spettatori, attoniti, si attardano sulle poltroncine a guardare il palcoscenico ormai nelle mani di nerboruti tecnici.
I due sono tra gli ultimi ad andarsene. Troppo poco “elevati”, prima non se la sono sentita di mentire a se stessi ed applaudire. Ora, scendendo le scale, pensano sia stata una costosa, memorabile, elevata sòla, più ancora che «un esercizio estetizzante e un po’ freddo».