La parabola dei 10-15 anni

Triste – ma, a suo modo, pure confortante – trovare conferma che un po’ tutte le migliori iniziative e realizzazioni, anche in ambito culturale, in genere non reggano, come slancio seriamente creativo e innovativo e propulsivo, oltre un orizzonte temporale continuo di dieci, massimo quindici anni. Superata questa soglia, succede spesso che, per intervenuti cambiamenti esterni e più ancora per logoramento interno o all’opposto marcato autocompiacimento e desiderio di (stra)fare e uscire dalla propria nicchia ben coltivata, non si riesca a proseguire con efficacia lungo i binari fin lì seguiti: qualcosa si spegne, qualcosa muore, qualcos’altro subentra. E prima di ritrovare il bandolo della matassa e tornare grosso modo a brillare, se mai se ne è capaci, deve passare del tempo e soprattutto occorre uno scarto, un salto, una vera discontinuità. Anche la parabola dei massimi promotori e interpreti del New Journalism statunitense, in un arco di tempo che va suppergiù dall’inizio degli anni sessanta alla prima metà dei settanta, ne è lucida e preziosa testimonianza.

Who's Afraid of Tom Wolfe[…] It just got ugly in the 1970s for New Journalism, hastened by the decline of general interest magazines. So what happened? Television, mostly, which siphoned away readers and ad dollars, turned celebrity culture into a growth industry, and assured the end of Life, the Saturday Evening Post, and Collier’s – magazines that had published Mailer, Didion, Hersey, and many others. Esquire, New York, and Rolling Stones were no longer must-reads for an engaged readership that couldn’t wait for the next issue to arrive in their mailboxes, eager to find out what Wolfe, Talese, Thompson, and the rest had in store for them. As the seventies drew to a close, so, too, did the last golden era of American journalism.
But there was also a sense of psychic exhaustion – that the great stories had all been told and there was nothing left to write about. […]

Marc Weingarten, Who’s Afraid of Tom Wolfe? How New Journalism Rewrote the World, Aurum Press, London 2005, pp. 276-277.