La nostra bulimia visiva
Per certi versi lo è sempre stata, ma oggi lo è in misura vertiginosa: la principale seccatura di ritorno da un viaggio o un evento, quali che siano, è riordinare le foto – se si ha avuto la grande imprudenza di farne, e quella estrema di farne tante – e poi scegliere e quindi ridimensionare (quando non ritoccare) quelle da condividere su social o blog e quelle da inviare direttamente alle persone rincontrate o conosciute sul posto. Il punto è che con macchinette digitali e smartphone rischiamo ogni volta di scattarne diverse centinaia, e non i due, tre, massimo quattro rullini da 24 o 32 di venti o dieci anni fa. Meglio sarebbe, così, limitarsi a poche decine, come un tempo, e quindi portarle a stampare, raccogliendole infine su un album fisico da mostrare a poche persone scelte o semplicemente riponendole in un cassetto, dentro una scatola per scarpe, per poi ritirarle fuori quando sarà. Meglio ancora, forse, non farne affatto, e non avere questa nostra bulimia di testimonianze e ricordi visivi, per concentrarci di più sulle impressioni dirette, a pelle. Invece, a meno di dimenticare a casa tutta l’attrezzatura, finiamo puntualmente per accumulare foto su foto, e poi imprechiamo in silenzio quando è il momento di fare una cernita e stabilire il modo migliore di condividerle, come e con chi.