E la bulimia di parole dove la lasciamo?

Certo che è difficile venirne a capo: come gli ridai un dito, in un niente la rete ti si riprende mano, braccio, l’intero corpo, e soprattutto il cervello. E il punto è che da mo’ che lo sai, da mo’ che lo sperimenti in prima persona, da mo’ pure che lo dici, lo ripeti, lo scrivi.

Il silenzio, il silenzio… un uso – e consumo – più parco delle parole, please! Parrebbe una richiesta e una decisione semplice da ottemperare; nel mondo di oggi, invece, è delle più indicibilmente difficili. Hai così voglia ad annunciare in rete che “dopo il frastuono del di tutto e di più… il silenzio… per qualche settimana mi propongo di staccare totalmente da qui”. Basta infatti il minimo cedimento rispetto alla volontà dichiarata di stare un poco più raccolti e quieti – una cortesia, una celia – e una valanga di parole è lì pronta a riversarsi su di noi o a uscire da noi. Il silenzio, perciò, questo miraggio oggidì, questa mèta spesso irraggiungibile, per quanto desiderata o desiderabile, per conseguire la quale bisogna essere decisi a rinunciare a molto, dando allo stesso tempo prova della massima indifferenza e del massimo egoismo. Il silenzio, insomma, che spinto all’estremo non è nemmeno tutto questo gran splendore, ma in tante occasioni ci attrae potentemente e ci trasporta via, finendo al dunque per rigenerarci.

Quindi, di nuovo, per poco o per tanto, silenzio, please!