Sempre da capo?

[Alcuni pensieri a sfondo apparentemente calcistico, ma di fatto con una valenza più generale, buttati giù dopo la finale degli Europei di Polonia e Ucraina, l’1 luglio dell’anno agli sgoccioli. Una riflessione, magari, da cui trarre qualche buon proposito per l’anno che sarà.]

Dopo l’ultimo scandalo del calcioscommesse, subito prima degli Europei, rispondendo a un sondaggio di «Repubblica» sei stato tra chi riteneva opportuno che la nazionale saltasse l’appuntamento di Polonia e Ucraina, restando a casa a (far) meditare sul tanto che non va nel sistema del calcio italiano.

Poi, dopo l’incontro inaugurale con la Spagna che manco hai visto dall’inizio, di partita in partita sei cominciato a scendere dal tuo trono di palesato distacco e cinico disincanto, come naturale, riguadagnando progressivamente interesse e anche un pizzico di entusiasmo. Ma senza mai risparmiare le critiche: sempre alle solite, con quella fase a gironi stentata, le tante occasioni da gol sprecate e il doversi di nuovo raccomandare alla lealtà sportiva altrui per superare il turno; soprattutto, quelle cronache tv sulla Rai sempre più inguardabili, con tanti commentatori il cui vuoto blaterare infastidisce ogni volta di più.

A dispetto di ciò, dal quarto con l’Inghilterra non puoi negare che anche a te sia ripresa la febbre del pallone e del tifo. E al secondo strepitoso gol di Balotelli alla Germania hai addirittura lanciato un urlo bestiale che ha piacevolmente stupito la persona con cui eri, poco patita di calcio e meno ancora delle sue folle urlanti, ma non per questo meno felice che per una volta ti vedesse uscire dai tuoi panni e modi di norma controllati. A quel punto, non ti facevi certo illusioni che il miracolo potesse ripetersi anche nella finale, ma speravi quantomeno che fosse combattuta fino al termine quasi alla pari.

Con la Spagna, invece, sin da subito non c’è stata partita; le lacune e le magagne storiche, negli ultimi incontri in qualche modo tappate o messe in secondo piano dall’orgoglio, la rabbia, l’agonismo, la voglia di riscatto, sono tornate fuori di colpo e nella maniera più eclatante.

La lezione, a giochi fatti, è sempre quella: quando ci va bene, dando fondo a tutte le nostre energie, e al momento giusto tirando fuori anche quei colpi di genio per i quali non temiamo rivali, riusciamo a raggiungere risultati fino a poco tempo prima impensabili e insperati.

Ma raggiunto quel vertice, realizzato quella sorta di miracolo, siamo in genere così logori ed esausti, così a corto di energie e spesso anche di stimoli, così poco lucidi e al contempo così compiaciuti di noi, così convinti della nostra buona stella, del provvidenziale talento italico, che ci impappiniamo come scemi, tornando in un attimo a scontare tutti i nostri limiti: organizzativi, di visione e tenuta collettive, più ancora che di risorse e pregi individuali.

In un niente ci rimangiamo allora quel poco o tanto di buono che avevamo saputo esprimere pur tra innumerevoli difficoltà. E se non siamo ogni volta da capo, siamo comunque chiamati a ripensare, rivedere, rabberciare, risanare e suppergiù ricostruire, quasi sempre per tentativi e approssimazioni successive, solo di rado secondo programmi meditati e organici, frutto di scelte e decisioni coraggiose e impegnative, dalle quali non derogare, se possibile, costi quel che costi.