Giovani di mezza età
[Proseguendo suppergiù sul tema dell’adultità, alcuni pensieri abbozzati a metà settembre tra Facebook e quello che può essere considerato il “pensatoio” di questo nuovo spazio ancora in corso di definizione.]
Fare cose da giovani o sentirsi mentalmente e fisicamente giovani, anche se di mezza età e oltre, non vuol dire essere giovani. È stare bene, nulla di più e nulla di meno. Non è poco, ma ce ne passa dall’essere sul serio ancora giovani. Personalmente, apprezzo così chi almeno a quarant’anni comincia a definirsi di mezza età. Viceversa, la storia di considerarsi o essere considerati giovani finanche superati i cinquanta la digerisco poco e niente: farà comodo o piacere a tanti, ma c’è un che di fuorviante e stonato e alla fine i conti spesso non tornano. Vedi nella politica, vedi nel lavoro, vedi un po’ dappertutto.
Piano però a farsi prendere dalla tristezza per questi ragionamenti, non ultimo perché qualcuno avrebbe detto che «dai trentacinque anni si ha il declino [e] recuperi meno gli allenamenti e molte altre cose». Piano cioè a parlare di “declino” o a tirare i remi in barca, superati i trentacinque, i quaranta o anche i cinquant’anni. Entrando nella mezza età, perdiamo forse in capacità di recupero, brillantezza e sprint; ma guadagniamo in resistenza, disciplina, sagacia, tenacia. E, di nuovo, non è poco. L’importante è avere la consapevolezza che al corpo come alla mente non possiamo chiedere sempre lo stesso, non possiamo obbligarli a compiere sempre le stesse cose e/o allo stesso ritmo; prima o poi, altrimenti, arriva il conto.
Nel mio caso, so che a 35-36-37 anni riuscivo a tenere ritmi incredibili nel lavoro e a essere come niente multitasking; e anche quando ero stanco, mi bastava poco per recuperare. Oggi è sufficiente un piccolo disguido o che mi distragga un po’ più del lecito, e per riprendere il filo di quanto stavo facendo faccio moltissima fatica. Lo stesso con l’attività fisica: fino a una decina di anni fa, pure senza grandi allenamenti riuscivo a reggere a sforzi notevoli, a compiere piccole imprese, senza particolari contraccolpi, se solo mi girava di farlo; oggi riesco ancora a fare qualche sparata improvvisata, ma poi puntualmente la pago.
Ho però imparato che disciplinandomi e puntando sulla costanza e la tenacia riesco ancora a regalarmi belle soddisfazioni. Per esempio, chi l’avrebbe detto che a quarant’anni avrei finalmente imparato a nuotare sul serio (io che feci mettere le mani tra i capelli al primo istruttore che mi vide entrare in una piscina, dodici anni fa)? O che a quarantaquattro avrei corso una maratona, dopo che tre anni prima, tra problemi alla schiena e prove da sforzo dubbie, pareva che dovessi rinunciare per sempre alla corsa?
Il corpo e la mente ci assistono fino a tardi, fino alla fine, anche in modo strepitoso, ma sta a noi saperne cogliere via via i segnali e adeguarci di conseguenza, prendendo le giuste contromisure, adottando stili e approcci di vita più consoni all’età che abbiamo. Non dobbiamo sottoutilizzarli, ma nemmeno usurarli; volergli e volerci bene, questo sì. E queste sono cose che impariamo solo con l’età.
Quindi, niente tristezza!