Sopravvivenza, paura, odio, disprezzo?
Leggere, leggere. Leggere roba seria, libri se possibile, ma anche belle riviste, con pezzi lunghi, articolati, non cazzatelle spicciole, legate al nostro mediocre quotidiano, e anche storie notevoli.
Leggere, dicevo. Perché poi può anche capitare di incontrare frasi che al quotidiano si attagliano eccome, benché pensate e scritte decenni prima e in un tutt’altro contesto. Tipo quella che segue, per esempio, nella testa di Phil Elliot, star del football professionistico protagonista del già qui citato I mastini di Dallas di Peter Gent, romanzo (giunto alla metà, direi eccellente) pubblicato negli Stati Uniti nel 1973 e da poco tradotto in italiano da Roberto Serrai, per 66thand2d:
Io sono un uomo che ha imparato che la sopravvivenza è il senso della vita, e che la paura e l’odio sono le uniche emozioni. Quello che non puoi superare con l’odio lo devi temere. E ogni giorno è più difficile odiare e più facile avere paura.
Ora, io non sarò “estremista” come il suddetto Phil Elliot, nel senso che non riconosco la paura e l’odio come le uniche, vere emozioni della vita, né ritengo che la sopravvivenza sia tutto. Però è difficile non pensare che per tante persone sia davvero così (un riferimento particolare, cela va sans dire, è ai nostri mediocricissimi politici italiani, specie dopo il teatrino all’ennesima potenza andato in scena ieri nell’aula del Senato). Come è difficile non ricorrere in certe circostanze, per pura autodifesa, non dico all’odio ma se non altro al disprezzo.
Lo dico chiaramente: non può il disprezzo, da solo, non meno che il disgusto o il distacco, migliorare una situazione che sia ormai degenerata. È però uno scudo potente, che non si lascia scalfire con facilità, una volta opposto a chi o a ciò che suscita in noi i sentimenti più ostili. E ci sarà pure il proverbio che dice «Chi disprezza compra», ma secondo me è discutibile. Chi disprezza, in linea generale ha capito di non potere – e soprattutto non volere – essere come la persona o la contingenza che tanto raccapriccio gli provocano.
Ma per tornare alla frase citata, per togliergli un po’ di crudezza e rendere maggior onore al protagonista e all’autore del romanzo, è il caso di riportare anche alcune delle righe che la precedono e la seguono, perché disegnano in realtà un altro quadro, tutto meno che “estremista” o per niente delicato e poetico.
La testa mi pulsava. L’orologio sulla parete diceva che erano quasi le cinque. Cercai di attenuare il ronzio che avevo in testa. I dolori stavano tornando lentamente, insieme alla vecchia realtà.
Charlotte era rannicchiata su un fianco, aggrappata al mio braccio. Nel sonno, il suo volto liscio era tranquillo e senza espressione. La guardai a lungo, domandandomi se pensasse a me. Mi conosceva, almeno un po’? Che cosa voleva da me? Niente, speravo. Non avevo niente da dare. Mi guardai intorno. Sembrava tutto irreale, come un fantastico sogno. Il fuoco era spento e la stanza era fredda. Non c’era traccia dell’entusiasmo e dell’energia che avevo la notte precedente. Ero stato effettivamente vicino a questa donna? Provavo qualcosa per lei? O ero solo fatto, fuori di testa, vittima del desiderio di persone ed emozioni che non esistevano?
Io sono un uomo che ha imparato che la sopravvivenza è il senso della vita, e che la paura e l’odio sono le uniche emozioni. Quello che non puoi superare con l’odio lo devi temere. E ogni giorno è più difficile odiare e più facile avere paura. Avvolsi Charlotte nella trapunta; lei mugolò, stiracchiandosi. Non metteva paura, e di sicuro non la odiavo. Trovai carta e penna e le scrissi un biglietto dicendo che l’avrei chiamata.
Lasciai il biglietto accanto a lei, presi le chiavi di David dal tavolo, imboccai il corridoio e uscii dalla cucina.
Il silenzio che precede l’alba era appena interrotto dal verso intermittente degli uccelli del mattino. Mi fermai accanto alla macchina e guardai il bagliore rosa violaceo del giovedì, con la sua promessa di novità appena oltre l’orizzonte. Beh, che si facessero avanti; mercoledì, intanto, era stato un giorno memorabile.