Il giornalista riluttante
Lo voglio, lo voglio, questo libro, e spero tanto di riuscirlo a trovare da qualche parte. In una intervista televisiva del 1992 (o forse 1993), Sergio Maldini, l’autore, ne parla così, facendo più che mai rimpiangere i tempi andati (direi quelli prima del ’68) in cui in Italia era ancora possibile un felice e proficuo connubio tra cronaca e letteratura:
[…] Già il titolo, Il giornalista riluttante [il Mulino, 1968], indica una certa tematica. Cosa indica? Indica che questo giornalista non è che accetti tutti i canoni del giornalismo. È riluttante al giornalismo perché aspira alla letteratura. Allora, in Italia, era possibile unire le due cose: la letteratura e il giornalismo spesso si identificavano in una sola persona. Avevamo dei giornalisti che erano anche degli scrittori, come per esempio è il caso di Montanelli, Buzzati, Piovene, Curzio Malaparte eccetera. I quali erano sì dei giornalisti che giravano il mondo, però erano anche scrittori al momento della resa sulla pagina di queste loro considerazioni. Questa simbiosi tra giornalismo e letteratura non doveva durare a lungo. Poi, quando cominciò il primo giornalismo sociologico, nei primi anni sessanta se ben ricordo, quando i giornali cominciarono a interrogarsi su quanti mesi doveva lavorare un operaio sovietico per comprare un paio di scarpe, finì questa storia di giornalismo e letteratura. Infatti, poi nelle società per esempio anglosassoni, le più evolute, le due cose sono ben distinte: per esempio, chi vuol leggere la cronaca legge il New York Times; chi vuol leggere narrativa legge il New Yorker. Invece noi avevamo, l’esempio più clamoroso è quello del Corriere della Sera, che pur vantando questa unione tra le due attività, il giornalismo e la letteratura, era anche il quotidiano più venduto. Voglio dire che… il lettore accoglieva abbastanza bene il fatto che per esempio Piovene andasse in America e ci rendesse un’idea dell’America come lui la vedeva. Non era importante avere dei dati obiettivi, dei dati di tipo sociologico. Era importante vedere come uno scrittore, un’artista, considerava il paese che stava visitando. Ecco, io ho praticato molto questo giornalismo così letterario fra il mio primo romanzo [I sognatori, Mondadori, 1953] e il mio secondo romanzo [La casa a nord-est, Marsilio, 1991].
Molto bella un’altra citazione di Sergio Maldini, trovata qui, sulla sua concezione di giornalismo:
Io sono un giornalista riluttante. Per esempio non capisco i cosiddetti intervistatori di vedove. Quelli che si precipitano dopo una disgrazia e fanno la solita domanda: signora, cosa ha provato? Giuro: se trovassi Hitler vivo nel mio giardino non lo riterrei uno scoop, ma una seccatura. Non concepisco il giornalismo come urlo, come clamore a tutti i costi, come pettegolezzo. Piuttosto lo vedo come aspirazione alla conoscenza, per descrivere un mondo ed entrare in armonia e in contatto con la sua cultura.