La forma lunga, lo stato solido
Leggere in forma lunga, negli ultimi tempi ne era sempre più convinto, era (ri)educare il cervello alla concentrazione, alla calma, alla riflessività.
Per contro il telecomando, la console, lo smartphone, il tablet e il laptop collegati in rete a tempo indeterminato davano l’impressione di eccitare al massimo il bisogno di saltare di qua e di là, senza tregua, facendo più cose contemporaneamente, frammentariamente, spesso molto irriflessivamente.
E se era innegabile, come sosteneva qualche tecnofanatico, che in un solo giorno sul web si potesse spigolare più di quanto un tempo si aveva a disposizione su carta in un anno, chi era così ingenuo da credere che questo costituisse sul serio un processo di conoscenza e non un mero ingurgitare parole, immagini, suoni?
Insomma, se erano tanto aumentati il nervosismo, la schizofrenia e i gesti inconsulti delle persone, come appariva sempre più evidente guardandosi in giro, sicuro che questi fenomeni non andassero in parte addebitati anche all’utilizzo compulsivo delle nuove tecnologie e all’abbandono, la decadenza o il mancato sviluppo di forme precedenti di condotta e acculturamento?
Bisognava ammetterlo: il loro cervello, bombardato da stimoli continui e da un flusso ininterrotto di informazioni spesso caotiche e frammentarie, non rispondeva più come poteva rispondere quello di gente educata quasi soltanto sui libri e i giornali di una volta, oltre che sull’esempio di genitori, parenti, amici, preti, maestri, dottori.
Se in parlamento e altrove succedevano con frequenza crescente scene a dir poco infantili e deprecabili, non ci si doveva dunque stupire troppo. C’era semmai da chiedersi se anche in loro e nelle persone immediatamente intorno a loro non riscontrassero un qualche peggioramento.
C’era da chiedersi, prima che la situazione degenerasse del tutto, prima che il loro cervello non rispondesse più con un giusto equilibrio, con una giusta ponderatezza, se anche per loro non fosse il caso di ritararsi un po’, tornando magari a dare valore ad abitudini comportamentali e culturali troppo frettolosamente abbandonate o mai ben sviluppate.
La lettura in forma lunga, per esempio. La lettura assorta, scollegati dalla rete, il telefonino lontano, silenziato, la tv e anche la radio, anche lo stereo, anche l’ipod spenti.
La lettura in forma lunga, d’accordo. Ma perché no la scrittura? Perché no l’ascolto? Perché no la visione? Perché no il pensiero? Perché no la programmazione? Perché no l’agire? Perché no l’amare? Perché no la comprensione?
Era la forma lunga, credeva, che in generale andasse riscoperta, rivalorizzata, riattualizzata, rieducata, ripraticata. Era il proiettarsi al di là delle contingenze, delle esigenze, degli sfizi, delle soddisfazioni e anche delle insoddisfazioni del momento. Era l’uscire dalla gabbia dell’immediato, del fuggevole, dell’evanescente, del caduco, del rapidamente transeunte.
Era il lasciarsi alle spalle la stagione del tutto liquido, se non del gassoso, e sforzarsi di recuperare alcune delle caratteristiche dello stato solido, qualche pregio di quelle generazioni di genitori e nonni dalle quali, per eccessiva presunzione di sé o per altro, tanto avevano voluto marcare il distacco.