L’attimo sospeso tra un prima e un poi
Ultima domenica di marzo, al cambio d’orario. Più fine aprile, in realtà; quasi inizio maggio. Con il vantaggio di spiagge ancora poco o per nulla frequentate. Sui moli sì, un’allegra sfilata di gente già prima pranzo e più ancora al primo pomeriggio. Ma le spiagge no: le più belle, le più appartate, le più estese, le più libere, sono ancora quasi deserte. Puoi camminare per lunghi tratti a occhi chiusi, senza paura di andare a sbattere con altri umani. Magari un cane può correre ad annusarti e leccarti i piedi nudi sulla sabbia, ma umani d’intralcio no. I pochi scesi in spiaggia mantengono per bene le distanze, da soli o in coppia o con cani, figli o nipoti, chi già a pancia in giù a prendere il sole in costume, chi con i piedi o le zampe già in acqua, chi già con i racchettoni, chi ancora con il cappotto sfizioso di pelle rossa sulle spalle e ai piedi gli stivaletti da inverno in città. Nessuno importuna nessuno. Nessuno è di fretta. Nessuno ha gran voglia di parlare, ancor meno di ascoltare voci discordi dal ritmico e placido avanti e indietro delle onde. I sensi sono assopiti e ben desti allo stesso tempo. Un tempo fermo, l’attimo sospeso tra un prima e un poi.