48? 46? 50!

Era una taglia 48 precisa precisa, non ci pioveva. A volte, magari, quei due o tre chili in più dovuti a una sedentarietà spinta lo portavano verso la 50 (in un periodo, quando lavorava al computer pure 12-14 ore al giorno e i chili extra erano così diventati non meno di sei o sette, anche la 52, ammetteva senza problemi), ma bastava un minimo di attività fisica regolare e la 48 gli andava di nuovo bene.

Il suo era però un fisico abbastanza tozzo, da mezzo contadino, non da fighetto mingherlino di città; di conseguenza spalle e cosce entravano a fatica in giacche e pantaloni slim fit (il taglio allora di nuovo prevalente) di quella taglia. Fosse stato per le commesse, naturalmente, avrebbe dovuto prendere senza indugi la 48 (“La 50? La lasci a chi ne ha davvero bisogno”, gli aveva detto una in un outlet, all’epoca in cui correva con assiduità e intensità e si era così rifatto un gran fisichetto asciutto, a proposito di una superba giacca Prada che poi avrà messo sì e no dieci volte, tanto temeva di squarciarla sulle spalle al primo movimento inconsulto), anche se a lui pareva obiettivamente un po’ troppo attillata e precisa. Fosse stato per la sua lei, lo avrebbe infilato addirittura in una 46: perché, diceva, bisognava esaltare le forme, evidenziando i bei muscoli naturali, e non infagottarsi in panni extralarge. E con un cappottino l’aveva pure accontentata; ma quando d’inverno non riusciva ad abbottonarlo sopra giacca e pullover, con perfidia non perdeva occasione di rinfacciarglielo.

Ma sapete che c’era? C’era che in quelle giacche e quei pantaloni doveva starci lui, e voleva starci comodo, non teso e striminzito come un modello o un manichino. Perciò, chissenefregava se il lino un po’ cedeva e slargava: si vedeva meglio con una 50? E una 50 fu!