Voi ultimi figli degli ultimi contadini
Ti accanisci oggi contro i tuoi diciott’anni,
demolisci trent’anni dopo gabbie di conigli,
solo materiali di risulta, non una tavola sana,
chiodi su chiodi, ingegno e pochissima spesa.
Vaglielo a dire ai ragazzi di oggi, figli o nipoti,
come passavate allora i pomeriggi e le estati,
voi ultimi figli degli ultimi contadini.
Vaglielo a dire le sudate pazzesche
dietro al fieno o a mietere il grano,
imballando e riportando la paglia,
le mangiate di polvere su trattori spogli e assordanti,
il letame caricato ancora a mano sui carri,
e le estenuanti botti d’acqua per innaffiare i cavoli,
pianta per pianta, sotto il sole torrido d’agosto,
smaniando per scappare via col motorino
e rincorrere un pallone su campi che erano tutta una buca.
Vaglielo a dire, quanto eravate stupidi e ignoranti
– ma anche quanto eravate belli e ridenti, e quanto fortunati –
ancora a contatto di una terra solo sudore e fatica,
voi ultimi figli degli ultimi contadini.
(4 giugno 2014)
PS Non avrà avuto e fatto molto di eccezionale la generazione di voi nati a cavallo tra sessanta e settanta – voi allo stesso tempo in ritardo di qualche anno sul mondo che era un tempo e in anticipo su quello che era in serbo, dunque molto spesso spiazzati, spaesati, lacerati, in un paralizzante limbo – ma è forse l’ultima in Italia ad avere goduto di un’infanzia in piena libertà, l’ultima cresciuta stando più fuori che in casa, più in mezzo al verde, alla polvere o all’asfalto che davanti alla tv o – e chi sapeva ancora che cosa fossero? – videogiochi e computer. E scusate se è poco!