Vodka e zakuski

[L’ingresso dell’autunno, con il brusco calo delle temperature e le giornate di nuvole e pioggia dopo gli ultimi assalti di caldo africano, è probabilmente il periodo dell’anno che, obbligando di nuovo a fare i conti con la realtà del tempo che passa (e non sempre – anzi di rado – nel migliore dei modi), più induce alla malinconia, alla nostalgia, al rimpianto e, in generale, a riandare al passato. Eccomi così rimettere brevemente mano a un brano ripescato dieci anni fa, in questi precisi giorni, da un numero della «New York Review of Books» di dodici anni prima, agli esordi della passione per le riviste – indifferentemente italiane e straniere – e la traduzione. PS La foto della testata è presa da qui.]

di Tatyana Tolstaya

[…] Il lettore amante della cucina storica e desideroso di ricreare piatti russi, specialmente il lettore americano, farebbe bene a prestare attenzione non solo alle ricette e alle istruzioni per prepararli, ma anche all’elemento più importante: come assumerli. Il gusto e le qualità distintive di una cucina nazionale sono quanto più esaltati dalle bevande preposte ad accompagnarla. (Certo, se innaffiate tutto a Coca-Cola, non importa che cosa mangiate.) È risaputo che la bevanda alcolica russa per eccellenza è la vodka, ma non ho ancora incontrato un solo americano che la beva come si deve.

Il modo americano di ingerire vodka – a stomaco vuoto, a temperatura ambiente oppure on the rocks – fa male sia al bevitore sia alla bevanda. È un po’ come bere lo champagne della sera prima da una tazza da tè. Il segreto della vodka è ingollare un bicchierino (riempito da una bottiglia tenuta in frigo) tutto d’un fiato, come se si ingoiasse fuoco. Ha invece poca importanza mangiare nel frattempo qualcosa di molto caldo o piccante: funghi, sottaceti, peperoni marinati, pesce sotto sale (aringhe, sardine), bortsch bollente, salsicce al sugo. Gli intenditori non mangiano ma annusano pane nero (solo nero!), oppure la manica di una vecchia giacca (ma è dura consigliare questo secondo metodo in un paese con un sistema ben sviluppato di lavanderie a secco: non produrrebbe lo stesso effetto). Per bere la vodka in modo corretto bisogna aprire bene la bocca, espirare profondamente subito dopo aver mandato giù e trattenere le lacrime agli occhi. […]

Vodka e zakuski sono in teoria inseparabili. Il termine zakuska indica specificatamente il cibo che si accompagna alla vodka per moderare l’effetto che ha sull’organismo. È ridicolo bere vodka senza zakuski: ti ubriachi subito, soprattutto se hai fame, e poi non riesci a gustare il pranzo. Ancora più ridicolo è mangiare zakuski senza vodka: ti rovini l’appetito e, se stai per fare un pranzo in stile Molokhovets, questo è indispensabile. Assunti insieme, vodka e zakuski stimolano l’appetito, rendono di buon umore, riscaldano e preparano al banchetto.

A ben guardare, un vero russo ha sempre in mente la vodka. In primavera, quando pianta i cetrioli, si frega le mani al pensiero della buona zakuska che sta coltivando. D’estate, quando prepara i pomodori sottaceto e riempie i vasi di peperoni ripieni e caviale di melanzana, fantastica sul lungo inverno, quando fuori dalla finestra ci sarà la neve e sul tavolo una bottiglia di Stolichnaya. D’autunno tutti, compresi vecchi e bambini, vanno nei boschi in cerca di funghi. Si alzano alle quattro di mattina per il primo treno che porta fuori città e si fanno almeno due ore di viaggio (i sobborghi vicini sono immancabilmente battuti e ripuliti dai cercatori locali). Non tutti sanno salare, marinare, essiccare, bollire e arrostire i funghi alla perfezione, ma anche chi non li mangia (e sono pochi) li raccoglie. Dei funghi ben marinati sono l’orgoglio di un padrone di casa, la migliore zakuska. Alla fine, comunque, tutto questo – cibo, bevande, zakuski – è poco più di una scusa per indulgere nella tradizione russa più amata: l’interminabile conversazione a tavola sulla politica mondiale, il giogo dei tartari, il destino della Russia, gli enigmi dell’anima russa.

Tatyana Tolstaya, The Age of Innocence, traduzione inglese dal russo di Jamey Gambrell, «The New York Review of Books», 21 ottobre 1993, p. 26 (recensione a Classic Russian Cooking: Elena Molokhovets’ “A Gift to Young Housewives”).