In margine a Carol… quanto malcostume e cattivo gusto, oggi

Dopo averlo lungamente atteso, e anche dopo aver riletto – e riportato qui – qualche elemento sulla genesi del romanzo da cui è tratto, giunse infine il momento di assistere in una sala cinematografica al film Carol, per la regia di Todd Haynes, protagoniste Kate Blanchett (Carol) e Rooney Mara (Therese) in una rarefatta e conformista New York dei primissimi anni cinquanta.

Ci pareva fosse il modo migliore per chiudere su un tono leggermente elevato e raffinato feste di Natale-Capodanno-Epifania che, pur non essendo state fonte di apprensione e amarezza degne di nota, non si può certo dire che avessero brillato quanto a eleganza, buon gusto, buoni costumi – elementi di cui, sarà l’età non più giovane sarà altro, si sente viepiù il bisogno.

Arrivati così alla sera del giorno della Befana snobbando alla grande tutti gli altri film proiettati nei cinema nel periodo delle feste (eccezion fatta per Irrational Man di Woody Allen, visto però poco prima di Natale), non potevamo perderci l’ultimo spettacolo di Carol, uscito solo il 5 gennaio.

In breve, nulla da ridire sul film, di indiscutibile bellezza, con plausi a non finire ad attori, regista ecc., a conferma di quanto di positivo se n’era già letto e sentito.

Invece, molto da ridire in margine allo stesso, cioè in margine alla sua visione.

Più che altro, molto da ridire sulla fruizione di questo come di qualunque altro film in una multisala all’interno di un centro commerciale, con le interminabili – e terribili, pessime – pubblicità di attività commerciali locali prima della proiezione e – orrore, orrore! – anche durante un’arbitraria, sconsiderata interruzione della pellicola tra un primo e un secondo tempo del tutto immaginari.

Proprio non gliela si fa a tollerare brutture assolute del genere.

Come non gliela si fa a tollerare l’estrema cafonaggine di chi in un condominio periodicamente mette lo stereo ad alto volume manco fosse una discoteca o, pressoché ogni sera, continua a fare baccano ben oltre le ventitré, e magari s’indigna pure e ti sbatte la porta in faccia se educatamente provi a chiedergli di fare più piano, per rispetto di chi almeno la notte vorrebbe riposare un po’.

Come non gliela si fa a tollerare oltre un ragionevole limite chi, a un pranzo o una cena o un semplice incontro tra conoscenti, amici o parenti, sta quasi sempre attaccato allo smartphone ed è lì che, occhi bassi e semi-ipnotizzati, manovra con le dita per conto suo o vuol far vedere questo e quello, ma poco o niente è interessato a quel che si svolge e si dice intorno.

E l’elenco potrebbe proseguire all’infinito, con innumerevoli esempi di malcostume e cattivo gusto tratti dalla vita quotidiana.

Ecco allora che anche la visione di un film come Carol, a prescindere dal suo reale contenuto, mette in luce l’abisso comportamentale – individuale e collettivo – che corre tra l’oggi e uno ieri di cinquanta-sessant’anni fa. E, è brutto dirlo, per tanti aspetti viene quasi da rimpiangere quel mondo lì, cioè il mondo dei nostri genitori quando erano giovani. Un mondo, quantomeno nella versione italiana, sicuramente molto più povero e arretrato e bigotto di quello odierno, ma, verrebbe da dire, anche con più dignità, eleganza, cura, educazione, buon gusto, buoni costumi. Tutte componenti, lo si ripete, di cui si ogni giorno che passa si sente sempre più la mancanza e il bisogno nella vita civile.