Unâestate senza
Sbrigati i lavori di raccolta nei campi e le pratiche amministrative di luglio, e archiviati anche i Mondiali di calcio russi (che, pur senza la presenza dellâItalia, o proprio grazie allâassenza dellâItalia e al conseguente distacco emotivo, erano stati, per lunghi giorni, una piacevolissima compagnia pomeridiana e serale â non ultimo per la loro massima imprevedibilitĂ , nonostante il risultato finale piuttosto scontato, con la vittoria della squadra meglio organizzata e con i talenti migliori), era, ora, senza ombra di dubbio, unâestate sotto il segno di un profondo senso di vuoto.
Nei fatti, unâestate senza.
Per cominciare, certo, unâestate senza social, per una libera scelta, liberatoria, e anche un uso generale di internet ridotto al minimo. Ma il senso di vuoto non nasceva sicuramente da questo. Semmai era lâopposto: lâabbandono dei social doveva molto al crescente senso di vuoto che questi trasmettevano e alimentavano; andarsene, allora, era provare a sottrarsi a quel vuoto, provare a ritrovare o ricreare in sĂ© strumenti di difesa dallâistupidimento e abbruttimento personale e collettivo.
Il dato sostanziale, perĂČ, era quello di unâestate senza piĂč veri e saldi punti di riferimento, uno dietro lâaltro venuti progressivamente meno, al termine di un lungo e pressochĂ© irreversibile processo di deterioramento e sfaldamento.
Avesse dovuto dire in chi e in che cosa riponesse ancora o di nuovo solida fiducia e fondate speranze, quellâestate no, non avrebbe saputo rispondere.
Questo solo poteva dire: era unâestate senza consistenti certezze.
Anche unâestate senza passione, senza passioni, evidentemente.
Unâestate senza.