Caro papà

Caro papà

Pietro Mataldi (4/1/1931–31/1/2022)

Caro papà,

se partiamo dalla fine, se cioè ci basiamo soltanto sui tuoi ultimi giorni, mesi e in pratica anni, la tua vita appare all’insegna quasi soltanto di grandi sofferenze, per i tanti malanni che si sono abbattuti su di te, in un crescendo, e che però hai saputo sopportare sempre con grande dignità, mai lamentandoti veramente.

Se però cambiamo prospettiva e partiamo dall’inizio, dalla nascita nei primissimi anni Trenta ad Astorara, anzi La Cona, una delle tante piccole frazioni all’epoca ancora popolatissime di quel paese di montagna ai piedi del Vettore che sempre porterai nel cuore, ovvero Montegallo; se partiamo da lì, in un contesto rurale tutt’altro che prospero nel cuore degli anni del fascismo e, appena ragazzo, tutte le complicazioni della guerra, con i tanti sfollati a riempire ancora di più paesini oggi quasi totalmente disabitati e abbandonati, salvo qualche settimana d’estate, ecco che la tua esistenza assume i contorni di una grande e felice progressione, in uno sforzo continuo di migliorare le condizioni di vita per te e la tua famiglia, lavorando sempre pancia a terra, ma al contempo senza disdegnare le occasioni di svago e di festa.

Ecco allora che ti vediamo sin da piccolissimo pascolare le vacche e fare il fieno su fazzoletti di prati di montagna; poi, subito dopo la guerra, adolescente, d’inverno nelle macchie della campagna romana a fare le fascine con una agilità imbattibile (gli altri ne facevano dieci, tu trenta, raccontavi); quindi, poco più che ventenne, alla prima opportunità minatore di carbone in Belgio, lavorando sempre a cottimo nei tagli più bassi e difficoltosi, con pause di qualche mese solo per tornare a fare il fieno d’estate in montagna, tutto per guadagnare quel tanto che ti consentisse di sposarti e mettere su degnamente famiglia, trasferendoti a quel punto, di ritorno dal Belgio, dalla montagna in un piccolo terreno qui a Piane di Morro, insieme a mamma a ricominciare con tutto un altro tipo di agricoltura, deciso a imparare, a non farti mai dire di te, a innovare, a non restare mai indietro. Ecco allora la vigna, gli olivi, i campi di broccoli, la stalla da ingrandire, le crescenti vacche da latte, le tante discussioni e battaglie sempre per il latte giù alla Centrale, i prati in affitto, le migliaia e migliaia di balle di fieno e paglia ogni anno, i trattori, i mezzi agricoli, e via di seguito, sempre a cercare di migliorare.

Dunque, lavorare al massimo e permettere a te e alla tua famiglia di avanzare: è sempre stata questa la tua vera religione. Accanto, però, non ti sei mai negato niente anche quando si trattava di fare un po’ di festa e baldoria: da giovane hai ballato saltarelli a più non posso, e hai poi sempre giocato a qualunque gioco o passatempo andasse per la maggiore, e sempre alla grande. Non si contano le morre, le bocce, le uscite a caccia (specie con l’amato fratello a Montegallo), le briscole, i tresette, le stoppe, le scale quaranta, i poker; sei sempre stato uno da partite con gli amici; per quanto fossi stanco per il lavoro in campagna, la sera e nei giorni di festa dovevi uscire e andare al bar o al circolo. E quando negli anni Settanta iniziava la stagione gloriosa dell’Ascoli Calcio 1898, la domenica naturalmente allo stadio, con gli amici e noi figli.

Ma con Montegallo, si diceva, sempre nel cuore. Ecco allora che per te non era Pasqua se il lunedì dell’Angelo non andavi a confessarti e prendere la comunione all’amatissima Santa Maria in Pantano (oggi purtroppo distrutta dopo gli ultimi devastanti terremoti), che con il magnifico suono della sua grande campana richiamava a sé tutti gli originari abitanti delle vallate circostanti; e stessa cosa a Ferragosto e per la festa a Colle, e poi a settembre la festa di Astorara e di Castro, e poi Ognissanti e tutte le occasioni liete e anche quelle meno liete.

E insomma, la tua è stata un’esistenza intensa e proficua, sempre vissuta con la massima dedizione ai valori del lavoro, della famiglia, dell’amicizia e anche di un giusto divertimento.

Insieme a mamma, non ti sei mai risparmiato, a onor del vero come tutti quelli della tua generazione e di quelle subito successive, permettendo a figli e nipoti di raggiungere condizioni educative, culturali e socioeconomiche a voi da ragazzi e da giovani completamente precluse.

Ti sarò e ti saremo perciò eternamente riconoscenti, cercando di tenere alto il tuo fulgido esempio.

Grazie papà, grazie per tutto. Riposa adesso, dopo le tante fatiche e battaglie e le grandi sofferenze finali; e se puoi, dove ora ti trovi, fai anche festa e baldoria con tutti i tuoi più cari parenti ed amici.