Maculae #1

«Sarai ancora capace di condurre ragionamenti in forma ± lunga, stile quaderno cartaceo, anziché in forma web, a colpi di tweet, di brevi post, di citazioni, di foto, di video, di link, di aggiornamenti di stato, di botta e risposta per email o nei commenti sui blog e su Facebook?» ti chiedevi mesi fa. La risposta era che nutrivi «seri dubbi, tanta è ormai la disabitudine, tanta la fretta». Nondimeno il desiderio era – e resta – «tornare ad allungare quello che scrivi e, resistendo quanto più alla tentazione di saltare di qua e di là e all’occasione condensare in stringhe di 140 caratteri o poco più i pensieri che si affollano nella tua testa, riprendere a concatenare una parola, un’idea, un’immagine dietro l’altra e vedere dove riesci ad arrivare». Su questa scorta, e nell’incapacità oggettiva di persistere a lungo su un unico tema, il tentativo di raggruppare periodicamente sotto la dizione e la categoria maculae alcune delle nugae o delle note più significative man mano appuntate, senza necessariamente rispettare l’ordine cronologico, ma privilegiando una concatenazione ± logica.

  1. Se c’è una cosa che più di ogni altra ti senti di rimproverare a internet, forse è l’eccessiva immediatezza: il troppo poco tempo che in genere passa tra l’insorgere di un bisogno – di esprimersi, di comunicare, di commentare, di informarsi, di interagire – e il soddisfacimento di quel bisogno, pigiando il tasto Invia, con conseguenze non sempre esemplari. Ci fosse uno scarto temporale maggiore tra l’insorgere del bisogno e il suo soddisfacimento, tutto sarebbe meno che un male. Ammirazione, allora, per chi pigia quel tasto Invia con molta parsimonia e accortezza, sforzandosi di dilatare i tempi più che accorciarli, complessificando e arricchendo l’espressione di sé e non semplificandola, non banalizzandola in sterili e ripetitive caricature. Ammirazione, insomma, per chi continua o ha ripreso a fare un uso sapiente del blocco di carta, che sia per scrivere o prendere appunti, che sia per disegnare, che sia per incollare ritagli o fotografie.
  2. La Library of Congress che sta archiviando l’intera Tweetosfera per renderla accessibile agli storici di domani (se mai saranno capaci di ricavare qualcosa da questo mare sterminato di dati non strutturati). Tu che cancellando quasi tutti i vecchi tweet ti illudevi di fare una meritoria opera di pulizia, l’equivalente di accendere un bel falò purificatore.
  3. Detox, detox, detox yourself… from the allure of life on the Net. Facilissimo a dirsi. Ma un’impresa pressoché impossibile, mancando di carattere. Perché appena ci ricaschi, dopo ogni piccola pausa, trovare la forza di staccare e mantenere una giusta distanza diventa sempre più duro. A oggi la cosa più semplice, malgrado il pessimo punto di partenza, è stato ridurre al minimo le email, lette e scritte. La passione per giochi, chat e cavolate varie per fortuna non c’è mai stata. Ma sottrarsi al richiamo di questo o quel link, questa o quella foto o frase, che fatica. E se la domanda è “Ma sottrarsi perché? Basta fare tutto con la giusta misura”, la risposta è che la “giusta misura”, anzi proprio l’idea di “giusto”, varia da persona a persona, è tra le cose più soggettive che ci siano (oltre a variare da momento a momento). Non esiste, quindi, un modo “giusto” e univoco di rapportarsi alla rete: dipende dalle persone. C’è chi riesce a viverla serenamente (e buon per lui/lei), e chi la vive in modo conflittuale, amandola e odiandola di pari passo perché crea in lui/lei una forte dipendenza che ne esalta allo stesso tempo i lati migliori e peggiori. E se senti di appartenere alla seconda categoria, allora senti anche il bisogno di periodiche “disintossicazioni” o prese di distanza, per riguadagnare una giusta misura, la tua giusta misura del momento.
  4. la testa fa tilt / di link in link saltando / la rete va giù
  5. Rileggersi ad anni di distanza nelle cose scritte in rete e, nonostante la discutibile logorrea, avercela non tanto con il cosa quanto con il come. Con la fretta, in particolare; con la smania; con la cura insufficiente, malgrado tutte le apparenti attenzioni. E nella scrittura, in rete come altrove, è proprio questo il peccato maggiore, imperdonabile: la foga, la precipitazione, la sciatteria, la sufficienza. Senza una cura adeguata, anche il testo animato delle migliori intenzioni non è degno che di scarsa considerazione. Né più né meno che, da sempre, ogni cosa al mondo.
  6. Tutti questi tuoi pensierini-ini-ini, per fermare i quali hai bisogno di fogliettini-ini-ini. Sapessi dire di più, scriveresti su dei quaderni grandi, magari a righe. Scarabocchi invece blocchetti di carta grigiolina, riciclata, sottile. Appunti quelle due o tre frasi che ti vengono di getto, poi agglutini un po’, esaurisci un lato del foglietto, lo pieghi, prosegui sull’altro. Finito anche questo, tra una cancellatura e un’aggiunta, hai bello che finito di scrivere. Stacchi allora il foglietto, lo lasci riposare per qualche ora o giorno. Lo rileggi ogni po’ di tempo. Se ti soddisfa, ne fai un post-ino-ino; se no, lo stracci. Alla fine, è sempre così.
  7. A mettere in fila tutto quanto uno legge, sente, vede, linka, cita, scrive, pensa, fa, che cosa viene fuori? Oibò, un gran stordimento.
  8. Ci si espone anche al ridicolo (che sia in una cerchia ristretta di “amici” o tra perfetti sconosciuti poco conta) con quello che via via si appunta online, per fissare/condividere quanto passa per la testa in un dato momento, sia significativo e apprezzabile o (ed è il più delle volte) no. Ma come dice Claudio Magris in un passo di Danubio, con il semplice gesto di annotare qualcosa ci sentiamo forse meno sperduti e soli e per certi versi la vita finisce per apparire meno insulsa e vuota, ricavandone così ogni volta quella piccola spinta indispensabile per andare avanti.
  9. Le nuove coordinate che periodicamente cerchiamo, venute a mancare le vecchie, per consunzione o abbandono.
  10. Questo bisogno reiterato di cambiare (pure blog), questo non arrivare mai a un’espressione compiuta e stabile di sé, che non siano anche una spia della natura camaleontica e di fatto irrisolta di ogni traduttore?
  11. Il problema di trovare la sintonia fine, che sia nella resa di un testo e in altri contesti o discorsi.
  12. Una benedizione la rete, con tutte le sue possibilità, ma anche una dannazione, una condanna, senza mai un vero punto fermo, stabile. E se le idee sulla carta sono difficili da modificare (Weinberger dixit), quelle sulla rete sono in vorticoso divenire, come noi che ne siamo parte.
  13. La necessità – sul fronte tecnologico – di essere moderni, aggiornati, al passo con i tempi. Ma anche la voglia e la tentazione, insopprimibili, di essere vagamente, blandamente rétro. Il vizio ricorrente, allora, di due passi avanti e uno indietro. E, in certi momenti, il bisogno di stare quanto più fermi, indolentemente. Come dopo una nevrastenica, schizzata corsa in avanti – o all’indietro.
  14. Il bisogno continuo di ritararsi, esplorare e mappare nuovi territori, sperimentare e progressivamente correggere il tiro, anche a rischio di tornare poi in parte sui propri passi.
  15. Alla fine si riduce quasi tutto a una questione di scelte, a che cosa meriti di più l’investimento del nostro tempo e delle nostre capacità.
  16. Bisogna saper scegliere nella vita: essere dentro o essere fuori. Stare lì lì sulla soglia a osservare, una volta un po’ dentro e una volta un po’ fuori, non si può. Soprattutto, bisogna capire quando è il momento di cambiare (marcia, stile di vita, sport, passatempo ecc.): nella vita, come correndo, non si può andare sempre dello stesso passo e sugli stessi percorsi; pause e variazioni, come accelerazioni e frenate, fanno parte del gioco.
  17. Il bisogno di rarefare e allungare, di darsi il tempo e il modo di capire, meditare, esprimere. Perché non siamo centometristi e il pensiero va riscaldato, allenato, propiziato.
  18. Non basta leggere, come non basta pensare, come non basta fare. Non basta, ma è necessario. Come è necessario innanzitutto studiare, imparare, osservare, ascoltare, imitare e anche un po’ (tanto) meditare.
  19. L’idea che si possano – anzi si debbano – diradare periodicamente i contatti e gli scambi, per meglio arrivare a conoscersi, ad autodefinirsi. L’idea, anche, che in tante occasioni ci si possa – anzi ci si debba – sganciare da internet, dai cellulari, dalle reti e dai dispositivi digitali, per cercare di ritrovare e ristabilire un contatto migliore con il reale, oltre che con se stessi. L’idea, infine, in fondo, che tutto questo interagire a distanza, attraverso canali elettronici, spesso non serva a granché, non producendo nei fatti vere modificazioni dell’io e del noi, se non in chiave spesso deteriore, con la mera illusione di assistere a un cambiamento serio, di sostanza, quando in realtà lo è quasi soltanto esteriore o comunque non tale da incidere in profondità e con effetti duraturi e rilevanti nella vita pratica, dove le stratificazioni del passato sono invece dure da scalfire per non dire erodere e progressivamente rimuovere, disegnando con il tempo il profilo di nuove valli, pianure, colline e montagne. L’idea, insomma, in concreto, che ci sia ancora moltissima strada da fare, più dentro che fuori di noi.
  20. Don’t be lifeless, don’t be lazy, don’t be stupid! Move, ride your bike, hike, climb, dive, swim, run, walk or play – if you can. And you can! Love, above all, things and people and places you’re passionate about!