Interludio #15
“Va bene, anche se quasi nulla è in ordine e poco lascia sperare che domani sarà meglio”, poteva essere la sintesi sbrigativa di quella estate-poco-estate del 2013 in Italia. Non c’era da stare veramente allegri per il presente e più ancora il futuro, ma a conti fatti non c’era nemmeno da strapparsi i capelli: per il momento si tirava ancora avanti discretamente, senza patemi (“senza grandi soddisfazioni ma anche senza grandi dolori”, come amava dire un tempo) grazie al “fieno” messo in cascina quando andava meglio. Per questo alla domanda “Come stai?” rispondeva, più per esaurire lì il discorso che per altro: “Bene, suppergiù. In generale non è un periodo dei migliori, ma è bene non lamentarsi indebitamente perché, come si dice, il peggio è sempre da venire. Cerchiamo perciò di prendere quel poco o tanto di buono che riesce a offrire il presente, sforzandoci al contempo di creare le premesse perché il futuro possa riservare ancora qualche bella sorpresa, gioia, emozione viva”. Non che lui stesso credesse fino in fondo a quanto rispondeva occasionalmente a questo e a quello (di rado, in effetti, era conseguente con ciò che diceva o auspicava), ma tale era insomma il suo pensiero, tale la sua inclinazione: non voleva avvilirsi e avvilire oltremisura, ma non se la sentiva nemmeno di vedere e far vedere tutto roseo, come non era per niente.