In forma di tweet

Senza un ordine preciso, né temporale né tematico, un calderone di tweet seminati tra il 2009 e il 2012, più qualche inserto improprio – cioè fuori da Twitter – del 2013. Scongiurando di accumularne di nuovi.

  1. C’è, ci deve essere, in un traduttore una vena di masochismo, accanto a una più o meno marcata e palese misantropia.
  2. È un fatto: devi spegnere la tua voce, ammesso che ne abbia una, e tappare anche occhi e orecchi, se e quando vuoi tradurre con intensità.
  3. Presenti gli ebrei al Muro del Pianto? Così tu alla seconda rilettura di una tua traduzione, avanti e indietro con il tronco davanti allo schermo.
  4. Ti sarai pure dato al podismo, ma il paragone tra traduzione e ciclismo resta sempre il più calzante. Pedala, allora, e non pensare ad altro.
  5. Si lavora bene la notte, al riparo delle distrazioni-apprensioni-irritazioni dell’attualità, ma fatte le due può bastare.
  6. Fatte le due, si possono fare anche le tre. Ma che non diventi una costante – perché, se proprio deve essercene una, niente meglio delle 23.23.
  7. Si fanno pure le tre, tre notti di fila, ma poi si paga, come ogni eccesso.
  8. Succederà. Non sai come, non sai quando, ma succederà. Di colpo tutto questo finirà. Con un rischio: che cambi tutto per non cambiare niente.
  9. Sempre un po’ quella, la sensazione: di straniero nel proprio paesello, isolato e sfigato, acculturato e sofisticato e snob del cavolo.
  10. Non fosse che sei troppo piceno e sibillino, mica male le acque e le terre marrucine – e più ancora i vini – tra l’Adriatico e la Maiella.
  11. Da capire perché se c’è crisi, o tira aria di crisi, puntualmente ti ritrovi in crisi. Sarà la natura ansiosa? Saranno le antenne sensibili?
  12. Momenti euforici in cui le energie si autorigenerano e riesci a fare di tutto; altri, sfiniti, in cui non ti alzeresti mai dal letto.
  13. In uno spirito di auto-accanimento, ci vediamo spesso pieni di difetti. In realtà, ti accorgi presto, non che gli altri siano così migliori.
  14. In un presente che poco entusiasma e un futuro sempre più indefinito, sempre quella la ricetta? Uno o più passi indietro per ripartire di rincorsa?
  15. Questa voglia di velluto, questa voglia di flânerie, questa voglia di non-si-sa-che in mezzo a valanghe informative, irritazioni e poco più.
  16. Un mero surrogato di vita, la vita online. Ma se e quando quella reale difetta, meglio questa imperfetta integrazione che la fuga nel niente.
  17. Un gran calderone la vita, una continua aggiunta di elementi e una lenta cottura.
  18. Quante cose – troppe, inutili, vane – accumulate negli anni – per sfizio? vanità? malinconia? solitudine? – senza farne un vero utilizzo.
  19. L’inesausta malinconia/poesia del crepuscolo.
  20. La beatitudine di riuscire a staccarsi e astrarsi.
  21. La distanza: uno scoglio che graffia, a fior d’acqua.
  22. Anche gli amori di lunga data prima o poi sfioriscono. E se proprio non finiscono, di certo qua e là si annacquano e vivono fasi di forte stanca.
  23. Ci si chiede, tante volte, se non fosse stato meglio perseverare in altre strade, resistendo alla fascinazione della parola scritta.
  24. Leggere, scrivere, tradurre? Tutto molto bello. Ma vuoi mettere pedalare, nuotare, scarpinare, correre, faticare, sudare, vivere!
  25. Affaticamenti fisici e stress mentali: di gran lunga preferibili i primi, liberatori; i secondi, costrittivi-oppressivi, preludio di rotture.
  26. Per sconfiggere stress, malinconia, freddo, umido, buio, niente come correre: piano quanto vuoi, a lungo quel che puoi, ma correre.
  27. Poté gareggiare un anno solo, scriverà forse un giorno, ma fu un anno stupendo, che ricorderà per sempre.
  28. Il ricordo struggente di felici corse folli e il pensiero che senza essere un po’ folli di rado si raggiungono traguardi felici.
  29. Come direbbe la Mondaini: «Che barba che noia, che noia che barba». I sabati chiusi in casa sono la quintessenza del rincoglionirsi.
  30. Sono da soli / tanti sabati sera. / Ma non stan bene.
  31. La domenica / niente interruzioni. / Un grande lusso.
  32. Star in pigiama / è buona domenica. / Non vergognarti.
  33. Sul dì di festa / la pioggia a singhiozzi. / Come la vita.
  34. Inconcludenza: il guaio di tenersi liberi per qualcosa che non arriva.
  35. Avrà anche ragione Cioran sulla bontà dell’indolenza ma, se non stemperate, le lunghe attese finiscono per esasperare.
  36. Sempre lei: la paura di sbagliare che porta ogni volta solo a commettere errori più grandi.
  37. Anche le batoste hanno una loro utilità. Specie se ripetute, sono indice di qualcosa di profondo che non va e richiede così urgente rimedio.
  38. Con il tempo diventiamo tutti un po’ “spietati” che non si fanno intimorire troppo e, quando necessario, tirano dritto?
  39. Conoscere le minuzie e i più intimi dettagli della vita di un autore, come di un normale individuo, lo fa amare di più? No, lo fa esecrare.
  40. Noi ventenni a cavallo di ottanta e novanta, un po’ sognanti un po’ pratici un po’ letargici un po’ smaniosi un po’ sempre in divenire.
  41. Le nuvole spazzerà via / ma non la voglia di Bahia / questo vento lancia in resta / che l’inquietudine ridesta.
  42. Si tira tardi / ma non è mica bene. / Notte su notte.
  43. Fuori di senno / frullati di notizie. / Fiori di fuori.
  44. Canto silente / le ore della notte. / Sogno vivente.
  45. A notte fonda / a cosa pensi non sai. / È quello che sai.
  46. Se ci si pensa, ma quanto è crudele maggio! Il mese forse più dolce, ma anche il più atroce, dispensando a piene mani bellezza e dolore.
  47. Semaine épuisée / on ne peut plus pour ce soir. / Bonne nuit au revoir.
  48. Voglia voglia voglia… di piantarla con il frammentario e lo sminuzzato – cosa che detta via Twitter è un po’ il colmo.
  49. Quella perturbante sensazione di un lento ma inesorabile smottamento – fino a una precipitosa frana finale o che altro?
  50. Che sarebbe se si potesse cambiare vita con la stessa facilità e frequenza con cui si apre o rinnova un sito/blog/profilo.
  51. Come sempre, quando il presente non ti soddisfa e di futuro non si scorge traccia, cerchi conforto (vano) nel passato.
  52. Quegli scatti di trascorsi adolescenziali scomposti e rimossi che si materializzano nella casella di posta, suscitando un’infinita tenerezza.
  53. Sedersi su ciò che uno già ha: se non l’errore più grande, sicuramente una grave sconsideratezza.
  54. Stanco! Stanco di un mondo dove vige il dio quattrino e la bellezza non ha alcun valore! Stanco di un mondo di arricchiti e di mediocri!
  55. Dopo tutto quel che c’è voluto per bonificare valli e paludi e così debellare fame e malattie varie, ora le cementifichiamo a tutto spiano.
  56. «Forse dire che amo il mio Paese non è esatto. Spesso lo disprezzo.» – Mario Vargas Llosa riguardo al Perù (e tu riguardo all’Italia).
  57. Di crisi in crisi, di bolla in bolla, di guerra in guerra, di emergenza in emergenza: sarebbe questa la fukuyamiana “fine della storia”?
  58. Quel bisogno di sentirsi fisicamente vivo, correndo a lungo sotto la pioggia e, non ancora sazio d’acqua, aggiungerci 60 vasche in piscina.
  59. La verità, la verità? Quando torna il bel tempo e lavori all’aperto, in campagna, passa tutto… be’, quasi tutto.
  60. Sazi di realtà, strafogati di irrealtà, un digestivo a base di iridescente contemplatività.
  61. Ma come ci piace leggere ad alta voce! E come si capisce bene, in questo modo, se un libro, un racconto, un articolo merita oppure no!
  62. Rallentare la lettura al livello della frase, della proposizione, quasi della parola. Leggere a voce alta, solo per sé. Sentire il ritmo.
  63. Una conferma, in mezzo alle tante incertezze e le innumerevoli incognite: febbraio è uno dei mesi migliori per leggere e scoprire nuove voci.
  64. Era ieri che tuo padre accompagnava te dall’oculista e poi dall’ottico; oggi i ruoli sono invertiti, e capisci che anche tu sei invecchiato.
  65. Il meglio sarà anche già stato ma, questo è un fatto, tu sei meglio oggi di ieri.
  66. Chissà, diventare adulti è anche imparare a fare a meno dei propri idoli, come di ogni altro idolo, e senza fare di se stessi un idolo.
  67. Se il nostro universo sonoro è quello fissato dalla musica ascoltata nei primi trent’anni, ti credo la tenace rabbiosa/lirica malinconia.
  68. Il bisogno di ridare spazio al bello – ma non nel senso della bellezza fisica, quella costruita, esibita, usata come merce di scambio.
  69. Il disincanto: questa tacita ammissione di sconfitta, questa apatica dichiarazione di ritirata, senza più l’entusiasmo né la rabbia.
  70. C’è chi stuzzica, e così rimetti mano a Cioran: «Non la paura di intraprendere, ma la paura di riuscire spiega più di un fallimento».
  71. E Cioran che (come sempre!) sentenzia sulla speranza inconscia che compensa quelle, esplicite, respinte o esaurite.
  72. E no, non si può mica ricominciare ogni volta la giornata sorbendosi la solita e orripilante dose quotidiana di mediocrità e squallore.
  73. È un orizzonte di crisi, d’accordo, ma presto pure i discorsi più alti sulla crisi vengono a noia, svuotano, snervano, e se ne fugge via.
  74. Ci si sveglia di un buon umore che, in declino durante il giorno, si riprende solo con la notte. Parola di Twitter.
  75. Ci si sveglia presi dalle cose del mondo, ci si porta verso la sera con le suggestioni delle parole, ci si addormenta tra i pensieri dell’io.
  76. Again and again, “these rivers of suggestion are driving me away.”
  77. Qualcosa di nuovo qualcosa di nuovo qualcosa di nuovo.
  78. Así y así y así… así me gusta: traducir una mezcla de inglés y español.
  79. In superficie le cose magari migliorano; in profondità è tutto da vedere.
  80. Sembra sempre che non cambi mai niente; a ben vedere, invece, cambia tutto e fin troppo rapidamente.
  81. I nostri pesanti sabati sera da soli; pesanti perché dicono molto, perché parlano da soli, perché ci inchiodano al fondo di noi stessi.
  82. Il pigro ripristino della routine dei sabati lavorativi (sere comprese), a sancire l’addio alle feste e al greve attorcigliarsi dei pensieri.
  83. Il pleut aussi ce soir / il pleut mais on ne pleure pas / qu’elle est belle comme ça / ce dimanche il sait plevoir.
  84. L’insonnia uscendo dalle feste; l’insonnia andando a letto troppo presto; l’insonnia (s)ragionando tra sé e smaniando per qualcosa di nuovo.
  85. Se ci freghi più l’incapacità di staccarci dal passato, dalle origini, o più la brama di un’alterità e un altrove irraggiungibili.
  86. «La vera fortuna è non avere paura del proprio futuro», sottolinei e traduci in una delle ultime pagine di un romanzo appena letto.
  87. Questa te la devi segnare: «A volte prendere decisioni temerarie è importante nella vita di una persona».
  88. «Devo proprio mandare questa e-mail?» Domanda da estendere a tweet, link, aggiornamenti di stato, post e cazzeggi vari.
  89. Il pensiero che siano sempre le email, anche quelle non scritte e quelle senza risposta (soprattutto quelle), a dire più di ogni altra cosa.
  90. Poi, mica è sempre vero che non rispondi (meno di un tempo, ma a volte rispondi – con cura), solo che spesso ne va della tua concentrazione.
  91. Ora che hai avuto la conferma (tacita) che ti aspettavi, potete anche tornare a ignorarvi cordialmente: tu resti un signore, altri chissà.
  92. Fanno male le separazioni, di ogni tipo, come negarlo. Ma alla fine, se si è solo in due (parti) e non ci sono pregressi, basta ignorarsi.
  93. Sospesi tra un passato che non passa, ma ammalia e grava al tempo stesso; un presente senza fascino, che inebetisce; un futuro che non si sa.
  94. Non avere voglia, non avere voglie: se non peggio, non meglio di una vita di smanie. Un protratto, monotono, sterile inverno.
  95. L’inquietudine del mattino finché non fissi almeno un pensiero, finché non ti stacchi dal mondo elettronico e ti immergi nelle tue cose.
  96. Forte nelle pause la smania di correre a curiosare sul web. Ma per chi può, quanto più utile adagiarsi a leggere una pagina di un libro.
  97. «Non impariamo mai niente, semplicemente diamo un nome nuovo ai vecchi errori.» – Edward Dahlberg
  98. Quella mappatura di sé che spesso è tenere un blog.
  99. Quelle mediocrité ! Ce n’est que du bla bla !
  100. Doversi difendere di più dall’assordante cicaleccio del mondo o dalla Fortezza Bastiani dell’ossessione dell’io?
  101. Dacci oggi il nostro strepito quotidiano? No, dacci una Lucky Town dove “I’m gonna lose these blues I’ve found”.
  102. Una forma di resistenza non cominciare la giornata con le notizie del giorno.
  103. La fortuna, a volte, di dover ottemperare ad altri impegni e così rimanere lontani dal cuore degli eventi e al riparo dai flussi informativi.
  104. Non gioisci, a tragedie e disastri, ma non riesci nemmeno più a stupirti, indignarti o addolorarti più di tanto, e di questo e di tant’altro.
  105. Allietano sempre le masse giovanili in movimento. Ma il sorriso è attenuato dal pensiero di quel che può celarsi subito dietro l’angolo.
  106. Più passa il tempo e più sei convinto che la tua generazione (X o giù di lì) è quella rimasta – e che è – più con le mani in mano.
  107. Questo tempo di così incerta lettura, con buone previsioni ma tuoni e lampi à gogo. Non è quiete, non è tempesta. Solo un grande NON SO.
  108. È vero che il tempo non si ripete mai allo stesso modo, ma ad avere un po’ di memoria storica certe sue evoluzioni si somigliano alla grande.
  109. Crescente è in giro lo spazientimento, ma grande sempre resta la rassegnazione, e in generale ci si raccapezza sempre di meno.
  110. Vero, come sosteneva Musil, che il mondo si può paragonare a «una commedia scadente».
  111. Ti credo poi che uno sviluppi i sintomi di una gastrite nervosa, tanto negli ultimi tempi è incazzato nero, maschere quiete e pacate a parte.
  112. E il paese, diventato finalmente un paese normale, ben retto da un governo dei migliori, anziché dai mediocri, sprofondò nella noia. Magari!
  113. Il fatto che, non per entusiasmarci ma giusto riappacificarci un po’, bastasse un governo sulla carta ammodo dice da sé quanto stavamo male.
  114. Sempre più con Popper e la sua critica dell’idea/superstizione della democrazia comando del popolo, per la democrazia giudizio del popolo.
  115. Tutto si potrà dire dei tempi che viviamo meno che non siano interessanti, per come obbligano a rivedere costantemente i nostri parametri.
  116. Anziani che discutono vicino alla tua finestra, senza lamentarsi che la vita cambi. L’unico problema è la rapidità dei cambiamenti. Già!
  117. Puoi detestarla quanto vuoi, la realtà fattuale, e trovarti molto meglio nel virtuale, ma prima o poi questa viene sempre a trovarti.
  118. Il sospetto, prima riflettendo in auto e poi leggiucchiando, che essere programmaticamente anti e sempre in negativo designarsi, porti male.
  119. Someone says sometimes you should stop “deprecating” yourself.
  120. «L’inferno esiste: è il centro commerciale di domenica», she dixit.
  121. L’insofferenza per gli iper era nota, ma quella per i borghi di cartongesso degli outlet (il non plus ultra di consumo e kitsch) non ha pari.
  122. Guidare in autostrada senza i camion e di colpo cogliere, dalle pochissime Fiat, Alfa e Lancia in circolazione, tutto il declino dell’Italia.
  123. Che pace, con le strade silenziose, pochi veicoli in corsa, pochi motori in azione, ogni suono e movimento ovattato. Più Natali per tutti!
  124. Natale, al suo fondo, con i suoi riti, celebra ogni volta di più una sconfitta: quella della vita moderna. Perciò, a chi piace e a chi no.
  125. Ci sarà un che di malato nel gusto per la solitudine, ma certe sere, durante le feste e non, la sola compagnia della radio può fare miracoli.
  126. Ora che sono finite, puoi dirlo? Sarai blasfemo, ingrato, musone e quant’altro, ma… fanculo le feste e gran parte di ciò che le accompagna!
  127. Sempre queste corse, che sia per prendere un treno o fare che altro. Da un anno all’altro la storia non cambia.
  128. È l’aria fina / uscendo di cantina / e qualcuno già vaticina / cinguetta una rimettina / neve di prima mattina / pure sull’ascolana collina.
  129. Vè nenguènne a cecerille / e lu munne è na nze più bielle / tutte aredevènta ne cco frechì / ndà li caccenille zempetta tutte lu dì.
  130. Li vòte che lu vellegnà zzeccava che la luna piena e de notte se facié vellì lu callare de lu vi cuotte: na favela, che te lu diche a fa.
  131. E quanne se cuocé li pemmadòra, li peperù e li tòtera de ranturche ccima a la vracia che se teré fora da sotte a lu callare? Slurp!
  132. Prima piane, mo sempre più forte, ma steme riènne a ccape da pié. Chi ce s’è magnate lu cervielle? Li atte?
  133. La stufa bruciatutto in ghisa? Finché c’è il sole se ne sta lì buona, ma come tornano umidità e pioggia ti dice: “Accendimi, accendimi!”.
  134. Belli i tempi in cui ci si concedeva il lusso dei ritagli di giornale; oggi tutti gli arretrati di filato nel cassonetto.
  135. Così stanco… di non combinare niente, per un verso o per l’altro. Soprattutto, stanco di funerali. Maggio, alle volte, è davvero atroce.
  136. Bello il mare, belli i corpi seminudi, in ammollo e no, ma spesso rilassa molto di più restare fermi al fresco di una vecchia cantina.
  137. La seriosità e le torri d’avorio di certo non vanno. Ma se tutto diventa happening ed eventificio e “sagrificio”, è qui la soluzione?
  138. Dirà sempre che no, non andrà, non vuole, ha già dato, non può, ma il tarlo di Mantova è lì ogni fine agosto che ricomincia a scavare.
  139. Di una bellezza struggente la montagna d’autunno, conturbante – ma devi guadartene, devi presto fuggirne, pena esserne di nuovo succube.
  140. La montagna… la montagna è risalire alle origini, là dove il tempo profondo della Terra è più visibile, negli strati geologici delle rocce.
  141. Risponde e consente il corpo, a volergli bene, anche dopo qualche tempo di inattività. Lo stesso la mente. Insomma, bisogna volersi bene.
  142. Più che altro, il corpo ricorda, anche più e meglio della mente, che spesso invece lo debilita, chiedendo da lui troppo o troppo poco e male.
  143. Chiedono tregua almeno un giorno a settimana, occhi e cervello, e di scorrazzare per la rete anche di domenica no, non ne vogliono sapere.
  144. Anche il corpo sarebbe renitente a fare alcunché di domenica, ma questa è una pigrizia che per il suo bene bisogna combattere.
  145. La lunga corsa ideale del pomeriggio/sera: falsopiano, poi salita, poi discesa, poi pianura. Cioè: autunno, inverno, primavera, estate.
  146. Non per snobberia, ma che ne diresti se – non solo per l’estate – riducessi al contagocce la presenza online? Fuori e sconnesso rendi di più.
  147. E tornare ad alzarsi con costanza alle sei, iniziando a lavorare alle sette, senza leggere e scrivere troppo di qua e di là? Sai che svolta!
  148. Femmina la traduzione. Vuole che le stai appresso, che le dai importanza, la lusinghi, la aduli, la porti con te ovunque, ovunque lei voglia.
  149. Che occorra anche essere un po’ aridi per riuscire come traduttori, dovendo sottrarre tante ore ad affetti e amicizie per produrre cartelle?
  150. In generale, non è che chiunque abbia troppo a che fare con la parola scritta rischi di contrarre o sviluppare una certa aridità di cuore?
  151. Se ripensa a tutte le ore passate su questo o quel blog, specie quelle a modificare i template: che spreco! E che arricchimento!
  152. Da quando frequentava le mailing list, l’idea che la rete sia una lente per capire le persone: qui non si riesce a nascondere troppo.
  153. L’impressione che il nostro comportamento in rete (spesso caricaturale, ma non meno veritiero) rispecchi fedelmente quello che siamo davvero.
  154. Che internet ci renda o no più stupidi e soli, una cosa è certa: per sociologi, psicologi e altri ricercatori di scienze umane è una manna!
  155. Sarà stata una colpa non avere mai posseduto un prodotto Apple, non avere mai imparato a essere levigato, perfettino, stylish, cool?
  156. Siamo moderni e tutto il resto, ma, a conti fatti, continuiamo ad avere un insopprimibile bisogno di idoli e miti, meno di maestri e idee.
  157. Facebook: non il punto di arrivo, tantomeno il punto di partenza; semmai, un fare il punto della situazione delle proprie reti sociali.
  158. Twitter? Né punto di arrivo né punto di partenza né punto della situazione. Per caso, un punto di non ritorno?
  159. Ci sta mettendo impegno a non cincischiare più molto su Facebook e Twitter, ma, finora, non che ne tragga gran giovamento. Evidente la noia.
  160. Facile scattare foto; molto più difficile selezionarle.
  161. We just need stories.
  162. Essere (stati) cioraniani dentro: che palle!
  163. «La cosa più importante: dimenticare ciò che si è fatto. Però bisogna anche aver fatto qualcosa.» – Elias Canetti
  164. «Come è tipico della nostalgia, ricordiamo gli aspetti luminosi di un’esperienza e ne dimentichiamo i lati oscuri». – David Weinberger
  165. Dovrebbe rallegrarti a posteriori di avere spesso ragione. Ma come cantano i Tiromancino, «la ragione non sempre serve».
  166. A forza di byte / un corpo che ha fame. / Fame di corpo.