Lievitando

Gli piaceva metterla così, e non gli importava se fosse un pensiero banale o una visione estremamente sempliciotta e riduttiva: il lievito stava al pane e alla pizza come la lettura stava alla scrittura e alla traduzione. E nella stessa misura in cui c’era lievito e lievito, e di conseguenza pane e pane e pizza e pizza, così c’era lettura e lettura e pertanto scrittura e scrittura e traduzione e traduzione. Naturalmente, erano di straordinaria importanza – anzi, senz’altro prioritarie – la farina o la miscela di farine che di volta in volta si utilizzavano (e quali potevano esserne gli equivalenti nel contesto della scrittura o della traduzione? L’esperienza? Il giro di conoscenze? La vita vissuta? La passione? L’entusiasmo? La fatica? La disciplina? Il sedersi regolarmente a una scrivania e non alzarsi prima di aver macinato/scritto/tradotto un tot di cartelle?), nonché contavano a non finire i tempi e i modi di lavorazione (meno, gli pareva, gli ingredienti di contorno, in tante circostanze meri riempitivi che facevano perdere di vista la sostanza). Ma senza buoni lieviti, come senza buone letture, di certo non si sfornavano buoni prodotti (quantomeno, buoni prodotti non azzimi). Seduta stante tornò dunque a lievitare, al calduccio, sotto un paio di plaid.