La cupa regina dei loro cuori

Era già una settimana che erano tornati da quel breve viaggio oltreconfine. Cinque giorni: due per intero di spostamenti in treno; gli altri tre abbastanza stanziali, pieni tuttavia di emozioni rare, incontri vitali e ricche nuove conoscenze, tali perciò da averli provati e ravvivati, in pari misura, al di là dell’ordinario.

Ma ora che erano di nuovo nelle loro case, e potevano dirsi ripresi dallo stordimento e lo sfasamento iniziali, quando i loro corpi affaticati brancolavano a ritrovare un soddisfacente equilibrio, di giorno e di notte, e testa e cuore erano ancora più di là che di qua; ora che avevano disfatto quasi per intero le valigie e suppergiù finito anche di riordinare foto e ricordi e pensieri; ora che, senza più la scusa della stanchezza e del frastornamento per le levatacce, i ripetuti cambi di treno, quasi appena partiti la ferrovia a un certo punto interrotta per un convoglio uscito dai binari e l’obbligo di scendere alla prima stazione, il non sapere lì per lì che fare, quindi la corsa in taxi in autostrada per non perdere una coincidenza irrinunciabile, e poi, andando avanti, il disagio e un po’ pure la vergogna di non capire troppo quell’altra lingua straniera, e poi gli occhi strabuzzati fuori dai finestrini per cercare di fissare paesaggi, costruzioni, volti e movimenti di diversa concezione, e poi e poi, tutto un mondo nuovo da scoprire e cercare almeno in parte di vivere… ora che insomma erano finalmente pronti a ricalarsi nella vita di ogni giorno, ciascuno a casa propria, ora, manco a dirlo, erano in profondo affanno, in pieno down.

La trance del viaggio anch’essa un ricordo, come la gioia e l’esaltazione di raccontarne e fissarne per bene i momenti, era adesso la mestizia di nuovo la cupa regina dei loro cuori.

Era l’evidenza schiacciante di come stessero poco ben messi.

Era l’idea annichilente di non sapere da dove e quando e come e con chi e che cosa o perché ripartire.

Era il riconoscimento di essere, di nuovo, per davvero stranieri: stranieri sulla loro terra, nel loro infelice paese, nelle loro stesse case.