Un’estate fa

Quanto appare già distante l’ultima, impalpabile estate, in questo tiepido e appannato autunno. L’ultima estate su Facebook, probabilmente. Anche l’ultima di rapidi testi e condivisioni immediate? Vallo a sape’! Ma la sensazione è che, sì, più di qualcosa nell’ultima estate è giunto a termine, mentre qualcos’altro ha forse cominciato ad attecchire. Cosa, sarà tutto da scoprire, e più ancora da vivere.

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6 agosto 2014

Festa del patrono cittadino, ieri. Discesa dunque in città, in tarda serata, per un giro e i fuochi d’artificio. Una città che nei fatti non frequenti (non più che il paese e il comune e la stessa regione di appartenenza, a dirla tutta), e in verità hai sempre frequentato poco. Anche una città – e un vasto circondario – che perciò conosci poco. Soprattutto, conosci poco e niente i suoi nuovi costumi, quelli delle generazioni più giovani. Generazioni che, invece, nel dì di festa sono forse le più presenti o quantomeno le più visibili. Generazioni, a una rapida e sommaria occhiata, estremamente diverse dalla tua, che pure era ancora adolescente solo (solo?) trent’anni fa. Generazioni che – ed è una constatazione che mette parecchia tristezza – paiono bere smodatamente. Che siano vino o birra o cocktail, che siano ragazzi o ragazze, maggiorenni o appena adolescenti, i più giovani oggi bevono. Quasi tutti e quasi tutte con un bicchiere o una bottiglietta in mano: è questo il dato che più spicca. Come spicca che anche il centro storico di Ascoli sia oggi un susseguirsi di wine-bar e birrerie e localini pseudo-gastronomici trendy. Insomma, il regno di devastanti “apericena”, non bastassero già a straziare gli stomaci (oltreché gli occhi, con pubblicità a non finire) le esagerate sagre e sagrette che da queste parti, e a dispetto di una crisi più che conclamata, si moltiplicano di anno in anno. Insomma, comunque la si metta, non è che ti perda troppo a non frequentare oggi, e specialmente d’estate, Ascoli e dintorni. Insomma, per chiudere: ma era proprio necessario puntare così tanto su lu magnà e, più ancora, lu beve? Non li si poteva limitare al regno domestico? Ah, già, sai com’è: cucinare a casa è fatica, mentre mangiare e bere di fuori, anche se costa ’na cifra e spesso fa pure parecchio male, fa molto fico.

6 agosto

Ah, la “fighitudine”. Trent’anni fa avremmo forse detto la “scafataggine”. Cambiano le parole, cambiano le mode. Ma non cambia, anzi aumenta, l’omologazione ai modelli prevalenti, quelli meglio propagandati. Il vero lusso, oggi, se ci si pensa, è non essere omologati e cercare fino in fondo di essere semplicemente se stessi, senza il bisogno di dovere per forza assomigliare a qualcuno/a.

7 agosto

Leggiamo, sì, ma di memorabile quanto poco. Traduciamo, o traducevamo, sì, ma roba più che bella, che ci sopravvivrà, quanta? Scriviamo, sì, ma quante cretinate.

7 agosto

Epperò, dove sta scritto che si debba per forza spendere, o per forza attingere a qualcosa di straniero, per regalarsi belle letture? Le biblioteche pubbliche, specialmente quelle di quartiere, che ci stanno a fare? E perché invece le frequentiamo tanto poco? Perché, insomma, questa fissa del possesso e dell’accumulo anziché il piacere di prendere in prestito e condividere con altri?

9 agosto

Uno pensa: tranquilla la provincia picena, con mare, colline e monti tutti raggiungibili nel giro di mezz’ora, bei borghi, città e cittadine non da buttare via, mangiare parimenti niente male e, almeno fino a qualche anno fa, discrete industrie e pure una discreta situazione occupazionale. Quale motivo avrebbe perciò di assurgere alle cronache nazionali se non per belle notizie soltanto? Invece, invece… A parte i recenti casi del delitto Rea e della scomparsa del piccolo Jason, basta invece riandare un poco all’indietro con qualche lettura e approfondimento, e viene subito fuori che anche la provincia picena ha, come tutte le province, i suoi lati oscuri e un suo nutrito assortimento di crimini, misteri e devianze, di rilievo non solo locale ma anche nazionale e, straordinariamente, internazionale. Solo per fare alcuni nomi relativi ad anni di piombo e dintorni: i casi di Gianni Nardi, Valerio Viccei, Patrizio e Roberto Peci. Provincia tranquilla, allora? Sì, ma solo fino a un certo punto.

11 agosto

L’abbandono… l’abbandono di tutto ciò che è stato e non è più di stringente attualità. L’abbandono… emblema italico?

11 agosto

«Nella cosiddetta civiltà dell’immagine, le pare che la gente sia capace di guardare? “Mica tanto, si vive sempre più imbozzolati in se stessi. Si è troppo autocentrati e quindi disinteressati a quanto accade intorno”». – Mario Dondero intervistato da Franco Marcoaldi

11 agosto

Poi… poi alla fine i nostri piccoli affanni quotidiani si rivelano sempre per quello che sono – stronzate – nel confronto con i drammi che investono territori lontani dai nostri. Drammi che stentiamo a credere siano ancora possibili oggi, nel XXI secolo, ma all’opposto conoscono una terrificante recrudescenza. Come se l’idiozia e la brutalità umane, per quanto fortemente circoscritte, per quanto drasticamente tenute al guinzaglio, non si lasciassero mai domare del tutto, per riscatenarsi invece in un niente, appena qualche profittatore pazzo criminale ne riaccenda le fiamme. Come a dire che non si possa né si debba mai allentare la presa contro fanatici e fanatismi di ogni sorta e, più ancora, coltivare l’illusione che gli uomini sapranno un giorno vivere tutti in pace gli uni con gli altri: qualcuno, purtroppo, cercherà sempre di prevaricare su qualcun altro, e il più debole sarà sempre il bersaglio preferito del più forte.

11 agosto

Sempre sia lode a Robert Musil e al suo L’uomo senza qualità. E lode sia anche a Nicola Lagioia che ne parla, ripropondeli su minima&moralia. (Rileggere oggi L’uomo senza qualità? Che impresa che sarebbe, per come siamo diventati inclini a una lettura terribilmente frammentata. Ma, anche, che gioia e che godimento, oltre che un vero, potente, nuovo arricchimento.)

12 agosto

«Si sente, nell’aria d’estate, odore di freni: è l’Italia che rallenta, e non ripartirà senza carburante e strada libera». È Severgnini a parlare, in un articolo dal quale si può dissentire in più punti (come fanno anche molti commentatori), ma la cui conclusione è ineccepibile. Personalmente vedo e vivo un ferragosto molto fiacco e svogliato, sotto il peso del sospetto che, esauritosi l’alibi del far passare l’estate prima di pervenire a drastici bilanci, il settembre e l’autunno alle porte potrebbero essere di rara, inusitata cupezza.

13 agosto

Da piccola sognava di diventare scrittrice. Invece, è rimasta stregata a tal punto dai problemi e dalle dimostrazioni di matematica da diventare, quest’anno, la prima donna a vincere la medaglia Fields, (impropriamente) l’equivalente per la matematica di un premio Nobel. Chapeau!

14 agosto

Ci fu, in anni recenti, (approccio al) ferragosto più mogio e dimesso? C’erano ferragosti che non erano ferragosti, perché bisognava lavorare, con scadenze più e meno urgenti da rispettare. C’erano ferragosti che non ci importava niente di niente e nessuno, ché anche se con poco o con meno stavamo bene, oppure eravamo così presi da noi stessi che il resto passava del tutto in secondo piano. E c’erano naturalmente ferragosti di festa e di svaghi, piccoli o grandi che fossero, fossimo o no ben accompagnati. C’è invece, quest’anno, ci sembra, un ferragosto quanto più fermo, quanto più stagnante, quanto più riflessivo, in un’atmosfera diremmo ormai generale di palese e crescente apprensione, con gli occhi finalmente (ri)aperti su noi stessi e sul mondo, e tutto fuorché spensieratamente euforici.

14 agosto

«Ferragosto, capo d’inverno. L’antico proverbio è perfino più pessimistico di quanto non sembri: quella che celebriamo il giorno 15, infatti, è un’istituzione degli anni Venti (sacra e profana la festa conciliava le processioni dell’Assunta e le gite del Dopolavoro fascista). Fino ad allora le “feriae augusti” si collocavano all’uno di agosto. E all’inizio del mese vanno evidentemente anticipate le avvisaglie di una metamorfosi in parte descritta da fatti precisi, come le temperature medie, o la durata del giorno, in parte occultata in misteriose combinazioni, dove a contare non è solo la quantità di un singolo elemento, come la pioggia, ma la qualità, molto instabile, del momento. Tutto è fermo; e tutto sta per muoversi. L’aria di agosto si consuma così, in bilico tra cielo e terra. Conta le stelle cadenti; mentre pensa alle somme da tirare. Si infatua per i crepuscoli, per i raggi verdi, per i miti dell’estate calante; mentre, con un altro occhio, scruta il futuro nel presente dell’uva e delle castagne, del mais, delle olive. Un’atmosfera sospesa tra gli aggiornamenti dei bollettini meteo e uno stato d’animo che prescinde dalle isobare: atteso e inatteso, chiaro e indefinito, tipo il primo freschetto, o il sussulto della gramigna che già si sintonizza su una nuova lunghezza d’onda.»

Luca Villoresi, Agosto immobile? Ma tutto è già cambiato, Corriere della Sera, 17 agosto 2013.

15 agosto

Forse il più bel ferragosto in solitaria, quello passato tra Trieste e Grado. Nel 2004, quando le fotocamere digitali, comprese le entry-level, costavano ancora un botto; le risoluzioni erano basse, non meno delle capacità delle schede e delle dimensioni dei file; e, memori dell’epoca dei rullini, stando fuori per qualche giorno ci si contentava ancora di un centinaio scarso di foto. Ma, com’è come non è, tutto appariva molto più bello che oggi.

16 agosto

“more research is needed to understand what’s lost by reading literature on screen. […] the type of text, the device used, and the background experience of the reader could all influence the outcome.” Dalle prime ricerche pare tuttavia che leggendo su e-book ci si ricordi meno, per esempio, dell’ordine temporale degli eventi di una storia.

18 agosto

Alessandro Leogrande su minima&moralia: «Il reportage “Di sicuro c’è solo che è morto” costituisce il momento di massima notorietà per un giornalista in fondo molto schivo, riservato, taciturno come Tommaso Besozzi. Oggi pressoché dimenticato, se non nelle antologie che includono quel pezzo, fu tuttavia una delle principali firme di quel nuovo giornalismo esploso nel dopoguerra, che ebbe il suo fulcro in settimanali come “L’Europeo” di Arrigo Benedetti e “il Mondo” di Mario Pannunzio, entrambi promossi da [l’ascolano di nascita] Gianni Mazzocchi. Era un giornalismo che mescolava modelli anglosassoni e lavoro sul campo, scrittura letteraria priva di fronzoli e gusto del racconto, intarsio dei personaggi e cronaca dei costumi. Un giornalismo che seppe raccontare il paese al paese, mescolando testi e foto, quando ancora la tv non c’era e quando ancora i quotidiani erano fatti di poche pagine e venivano chiusi in fretta e furia. […] Quel giornalismo, anticamera del giornalismo attuale, è stato sommerso sotto una montagna di trasformazioni tecniche e meno tecniche. Quegli stessi settimanali degli anni cinquanta appaiono reperti archeologici (e forse iniziavano a essere tali già negli anni del boom). Eppure, per chiunque oggi voglia accostarsi al reportage narrativo, quell’ossimoro che altri in seguito avrebbero definito new journalism, Tommaso Besozzi continua a essere un riferimento imprescindibile.»

19 agosto

Memento: rimboccarsi le maniche e darsi da fare, se necessario anche sporcandosi le mani. Soprattutto, non ripudiare anche il bello e il buono del passato solo perché abbiamo studiato, abbiamo letto, abbiamo viaggiato e vissuto la vita comoda o poco faticata, e dunque ci crediamo chissachì e chissaché.

19 agosto

“Buona la tua focaccia madre con i pomodori arrosto. L’ho digerita in un secondo.”
“Sì, d’accordo, per una volta te lo concedo: oggi è venuta proprio bene. Ma quasi sopra le nostre teste nel pomeriggio sono caduti due tornado – non senti gli elicotteri che ancora girano poco più in là di Ascoli? – e noi a quell’ora dove eravamo?”
“Io ad arrancare sulla vecchia Graziella di tua sorella fino a Sant’Egidio, e tu a sfottermi a ruota libera dall’alto della tua Bianchi Stone Hill, se te ne fossi scordato!”
“Ah, certo: se per questo rido ancora, solo al ricordo! Ma sei tu che l’hai voluto fare, visto che non sopporti di stare ferma e soprattutto non sai rinunciare al gelato all’Anisetta di Rolando. Io, per parte mia, avrei voluto portarti a provare una bici nuova per te.”
“Non ti azzardare nemmeno a parlarne ancora. Ma in special modo, non ti azzardare la prossima volta a proporre ancora percorsi fuori programma. Ci mancavano solo le erbacce e le ortiche fino al ginocchio, oggi, lì sotto Maltignano. Tanto, non ero già stanca per niente!”
“Sotto Maltignano, d’accordo, ma lì dove cominciano le erbacce il comune è già Folignano. E se su al comune non gliene frega niente a nessuno di avere delle strade vicinali comunali che potrebbero fare la gioia di camminatori e pedalatori e patiti di cavalli se solo ogni tanto passassero a trinciare l’erba e dare una ripulita a canne e arbusti, be’, non è certo colpa mia. Io volevo solo farti vedere un potenziale gran bel percorso dove non passano le macchine”.
Silenzio. Lei già dorme, rannicchiata su una sdraio da mare nel giardinetto.

20 agosto

Non ce n’è. Se la montagna è vissuta per quasi l’intera durata dell’anno e non solo per una o due risicate settimane estive; se conserva una sua economia vitale; e se magari è anche animata da fermenti artistici e culturali – no, proprio non ce n’è: batte il mare e le località marine, specie le più turistiche, le più battute, le più cafonal, praticamente sotto ogni aspetto. Se invece si ripopola un po’ giusto a ferragosto, quando solo per trovare un posto per l’auto è una battaglia, mentre per il resto dell’anno è il relitto abbandonato di un mondo e un’umanità che furono, quando non un inno al suicidio – no, meglio fuggirne. Fuggirne nei giorni di festa, quantomeno. Come è meglio (ri)fuggire dal mare e anche dai paesi snaturati dallo sviluppo e dal benessere quando piomba l’orda vacanziera e delle sagre e degli spettacoli da quattro soldi. Perché per star bene veramente non bastano “lu magnà” e “lu devertemènte”, specie quelli spicci. Ci vogliono semmai un mangiar meno ma bene, e più ancora un vivere in serena armonia con il mondo che ci circonda, senza strafare ma anche senza precludersi il bello e il vitale, l’artistico e l’artigianale, il divino e l’umano.

20 agosto

Poi dici che la montagna – quella antica, ben preservata – non t’innamora?

20 agosto

Tre scelte da evitare (le tre principali, secondo te, in un elenco di dieci), per non avere rimpianti tra dieci o più anni:

  1. Avoiding change and growth. – If you want to know your past look into your present conditions. If you want to know your future look into your present actions. You must let go of the old to make way for the new; the old way is gone, never to come back. If you acknowledge this right now and take steps to address it, you will position yourself for lasting success. Read The Power of Habit.
  2. Settling for less than you deserve. – Be strong enough to let go and wise enough to wait for what you deserve. Sometimes you have to get knocked down lower than you have ever been to stand up taller than you ever were before. Sometimes your eyes need to be washed by your tears so you can see the possibilities in front of you with a clearer vision again. Don’t settle.
  3. Being lazy and wishy-washy. – The world doesn’t owe you anything, you owe the world something. So stop daydreaming and start DOING. Develop a backbone, not a wishbone. Take full responsibility for your life – take control. You are important and you are needed. It’s too late to sit around and wait for somebody to do something someday. Someday is now; the somebody the world needs is YOU.

21 agosto

Ma un paese che non cura più la sua memoria (gli archivi storici e anche le biblioteche nazionali, nel caso specifico) come può poi pensare di avere ancora davanti a sé un futuro? Schiacciati sulle contingenze del presente si muore.

21 agosto

Sul filo della memoria e sulla memoria, le belle, fondamentali, decisive letture di vent’anni fa:

«la persistenza delle memorie coinvolge l’essere stesso della civiltà; la conservazione dei documenti della nostra vita culturale, scientifica, civile, la trasmissione delle nostre esperienze e dei nostri saperi è infatti la condizione fondamentale per la permanenza nel tempo di una civiltà e di una cultura, è condizione perché esista una storia. E come negli individui la memoria è il tesoro cui affonda le radici il nostro io, anche nelle società la memoria è il presupposto della loro identità e continuità storica.

Proprio per questo la conservazione delle memorie non rinvia solo alle tecniche di conservazione dei supporti materiali cui sono affidati i documenti, ma rinvia al più ampio problema delle istituzioni cui sempre nella storia – dal momento della costituzione di una cultura scritta – gli uomini hanno affidato la conservazione dei documenti: archivi, biblioteche, accademie, università, centri di ricerca, luoghi deputati alla conservazione e dunque alla trasmissione del sapere, oltre che alla creazione del sapere stesso. […] Se nei secoli passati, dall’antichità alle origini dell’età moderna, il problema delle tecniche della memoria, l’arte della memoria ha costituito uno dei grandi crocevia ove si sono incontrate filosofia e fisiologia, arti figurative e logica combinatoria, astrologia e magia, legando i progetti delle tecniche della memoria a grandi progetti di riforma del sapere, oggi il problema della conservazione delle memorie contemporanee – individuali e collettive – non solo costituisce un nuovo crocevia che vede l’intreccio di competenze diverse, ma è il punto obbligatorio di fronte al quale si trovano le società e le culture prossime del terzo millennio: nella consapevolezza che l’eclisse delle memorie porterebbe al progressivo oscuramento delle nostre coscienze, all’oblio del nostro lavoro, sino alla perdita della nostra stessa identità.»

Tullio Gregory, nell’introduzione a AA.VV., L’eclisse delle memorie, a cura di Tullio Gregory e Marcello Morelli, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. xiii-xiv.

Stesso libro, ma dalla prefazione di Giorgio Salvini:

«è necessario staccarci e astrarci ogni tanto dalla mole immensa dell’informazione quotidiana, per vagliarla con calma, con calma riporla. Essere curatori del nostro passato significa, ancora una volta, esserlo del nostro futuro. Una cura, una pace, una consapevolezza che non può non farci più pensosi, scienziati o filosofi o artisti o uomini qualunque che siamo.»

22 agosto

Dunque, adesso ci sarebbe anche questa mania del “binge-reading”, cioè – suppergiù – delle “letture bulimiche” (nulla di nuovo, in realtà, a parte questa espressione inglese), sulla falsariga del guardare un’intera serie tv tutto d’un fiato?

Alex Trivilino: ‘I realize that, semantically, binge-reading isn’t meant to be a perfect parallel to television, but it’s still an unnecessary one. Netflix pushing a whole season at once breaks the norm of weekly episodes. I still haven’t finished the latest season of Orange is the New Black yet (I’m close!), but at least I can catch up while cooking dinner or doing laundry, and I can Tinder during Larry-plots. With books, you can’t do that. With books, reading is absolutely an active process.

I’m spending this weekend curled up with We are Not Ourselves and coffee, but when I write that, I’m not saying, “I’m binge-reading that new book everyone’s talking about.” I’m just following that ancient practice of reading a book.’

22 agosto

We Are not Ourselves: il nuovo libro di cui, apparentemente, parlano tutti. Uscito il 19 agosto in America da Simon & Schuster (che l’ha pagato più di un milione di dollari), è già schizzato nelle classifiche di vendita di Amazon. Da una ricerca, in Italia dovrebbe uscire per Neri Pozza. Questo è altresì un nuovo esempio che non bisogna per forza essere esordienti giovanissimi per fare il botto: l’autore, Matthew Thomas, è infatti sulla soglia dei quarant’anni.

22 agosto

E dunque starebbe cambiando – o è già più che cambiato – anche il clima letterario. Secondo Romano Luperini: «In un’epoca di contraddizioni materiali come la nostra, con le sue urgenze politiche ed economiche, è entrata in crisi l’idea postmoderna che esista solo il linguaggio: il tempo della leggerezza, del nichilismo ilare non ha più senso. Tornano dunque le tematiche non del neo-realismo, che aveva altre radici, ma di un nuovo realismo e di un nuovo modernismo erede del primo Novecento europeo». E l’esempio italiano più recente e più significativo sarebbe, sempre secondo Luperini, Francesco Pecoraro con il romanzo La vita in tempo di pace: «Racconta una giornata in cui si riflette un’intera vita: sullo sfondo c’è in tutta evidenza l’Ulisse di Joyce, ma anche Céline e Gadda… È un romanzo di grande impegno, un romanzo esagerato, con forzature e prolissità, ma offre un prisma di storia privata e pubblica, dal dopoguerra a oggi, con una sensibilità addirittura idiosincratica e viscerale reattività».

Bene, forse si può tornare a seguire con più attenzione anche la narrativa italiana contemporanea.

22 agosto

E il richiamo alla realtà, e probabilmente anche al “principio di realtà”, è ormai qualcosa di più generale, e tale da obbligarci, secondo Ernesto Galli della Loggia, a riconsiderare anche «tre ambiti – la religione, la guerra e la civiltà – che da un certo momento in poi la nostra cultura e il suo mainstream intellettuale – quello europeo assai più di quello americano – hanno bandito, proclamandone la scostumatezza ideologica e di conseguenza espellendo per decreto tutte e tre dal discorso politicamente corretto».

22 agosto

Gli ultimi a conoscere la vita prima di internet? Allora, da questa posizione privilegiata, gli unici a parlare a livello nativo le lingue del prima e del dopo, dunque anche gli unici traduttori/interpreti qualificati tra un ambito e l’altro.

23 agosto

All’inizio di un racconto della scrittrice canadese Carol Shields intitolato “Fragility” c’è un passo che descrive una coppia di mezza età in volo da Toronto a Vancouver, mentre passano sopra le Montagne Rocciose. Il narratore, notando la moglie immersa nella lettura, decide di non disturbarla, di non richiamare la sua attenzione sul grandioso spettacolo sotto di loro (d’altra parte, pensa, «le ha già viste»). Nella fila davanti c’è invece un giovane che probabilmente vola sopra le Montagne Rocciose per la prima volta, preso com’è a guardare e fotografare dal finestrino. Il narratore già immagina che la settimana dopo farà girare queste foto tra i colleghi dell’ufficio, tenendole delicatamente per i bordi ed esibendole nelle migliori condizioni di luce. Una sera potrebbe persino invitare a casa alcuni amici e proiettare le diapositive nel soggiorno; e mentre la moglie serve il caffè e delle fette di torta, commenterà: «Ecco, queste sono le Montagne Rocciose: maestose, spettacolari, una delle meraviglie del continente». E a questo punto il narratore osserva:

«Cosa non darei per essere nei panni di quel giovane, mi dico. Ma questa è solo una mezza verità, il tipo di bugie che Ivy e io alle volte ci inventiamo per sorridere un po’. In realtà non ci passa proprio per la testa di voler tornare indietro. Quello che invidiamo dei giovani è la loro acuta e nervosa forza di percezione, la capacità di cogliere la realtà con occhi nuovi. È questo, penso, ciò che perdiamo quando diventiamo vecchi, sviluppando al suo posto una salutare rassegnazione.»

Ecco, se Carol Shields avesse scritto oggi, nell’epoca dei selfie e delle foto condivise sui social media (quasi) appena scattate, mentre le cene tra amici per parlare delle vacanze e vedere insieme gli album di foto o le diapositive sono un lontano ricordo, un passo suggestivo e incisivo di questa natura temo che difficilmente lo avremmo mai avuto. Perché, come commenta Massimiliano Panarari su «La Stampa», oggi anche la fotografia, non meno del racconto, ha perso quel carattere cerimoniale e liturgico che poteva avere un tempo, e quasi tutto si è parecchio banalizzato.

23 agosto

Dieci cose (più una) che non ci mancheranno se Internet sparirà. Nel mio caso:

  1. Le email di spam.
    2. Le truffe con le carte di credito.
    3. I tweet, gli status e i post di politici e celebrities.
    4. I selfie.
    5. Le catene di sant’Antonio.
    6. Le notifiche dei compleanni.
    7. Gli inviti a giocare a questo e a quello.
    8. I commenti a cavolo.
    9. I “Mi piace” indiscriminati, solo per spirito di appartenenza a una cerchia o un gruppo, su foto e status.
    10. La dispersività assoluta.
    11. La dipendenza.

Cosa mi mancherebbe più di tutto, invece, dovesse mai venire a mancare internet? La possibilità di esercitare a fondo la curiosità. Ma non una curiosità generica; piuttosto, la curiosità “epistemica” e quella “specifica”; molto meno, la curiosità “diversiva” e quella “percettiva”.

24 agosto

In ordine sparso, cose lette o sentite o pensate nelle ultime ore:

  1. La curiosità è la più dolce delle insoddisfazioni.
  2. Non ci facciamo mancare niente, sai. Il superfluo, però, quello non più. Se prima non stavamo troppo a badare all’euro in più o in meno che ci rimaneva in tasca, oggi stiamo molto più attenti a non spendere dove non serve.
  3. Provaci, dai: prova a farti a piedi, al passo, uno di quei percorsi di dieci o anche venti chilometri, appena uscito di casa, che ti sei già fatto/a in auto, in motorino, in moto, in bici, magari anche di corsa. Scoprirai un altro mondo. Scoprirai un altro/un’altra te. Scoprirai che stai e osservi e capisci e pensi meglio.
  4. Cose assolutamente da fare prima dei cinquant’anni, dunque entro diciotto mesi: a) correre una seconda maratona, magari quella di New York? b) percorrere in bici o a piedi un tragitto di almeno un paio di centinaia di chilometri? c) tradurre un nuovo, lungo e bel romanzo? d) cominciare a tradurre e pubblicare in proprio? e) mettere su casa? f) mettere su famiglia? g) diventare padre? h) fare qualcos’altro di davvero speciale ma finora sempre rimandato? i) procedere imperterrito su qualunque terreno e in qualunque circostanza con passo da temerario e indomito camminatore?

25 agosto

Ci piace trovare risposte (facili, immediate) a quelli che potremmo definire “rompicapo”; molto meno porci domande (difficili, complesse, di non rapida soluzione) su quelli che viceversa potremmo meglio catalogare come “misteri”. Da qui scaturirebbero molti dei nostri attuali problemi, è opinione crescente di gente che sembra capirci ed è altresì convinta che il modo in cui principalmente utilizziamo internet (non tanto per esercitare una curiosità epistemica, conoscitiva, intellettuale, quanto per assecondare una curiosità diversiva, cioè volta ad ammazzare la noia e/o la solitudine e/o il tempo) non faccia che aggravare la situazione.

25 agosto

Probbia vere quelle che dice l’abbruzzese: “Lu magnà e avast!”. Ma nen sarebbe megghie di’: “Avast che stu cazze de magnà, che tante è sole na scusa pe nu magna magna!”?

25 agosto

Contano ancora la classe sociale di appartenenza, la cura genitoriale e la vita familiare nelle scelte educative ed esistenziali dei figli, così come nei loro sbocchi occupazionali e nei risultati lavorativi? Contano, contano, come testimoniano anche le ricerche di Annette Lareau, compendiate in Unequal Childhoods. Anzi, ora che il ceto medio è in forte sofferenza, non meno della scuola pubblica, contano di nuovo alla grande, e molto più della razza.

C’è poi da tenere in conto che, anche nei casi in cui si riesca tuttora a compiere il salto di classe grazie al proprio percorso formativo, spesso le differenze di partenza continuano a farsi sentire pesantemente, non ultimo a livello psicologico. C’è, al riguardo, un libro senz’altro da leggere: di Alfred Lubrano, Limbo: Blue-Collar Roots, White-Collar Dreams.

26 agosto

Avete avuto bravi insegnanti, nella scuola e nella vita? Vi reputate voi stessi bravi insegnanti, che sia nella scuola o nella vita? Ma soprattutto, chi sono e che cosa fanno i bravi insegnanti? Leggo (sintetizzate da Ian Leslie) idee un po’ in controtendenza rispetto ai tempi: «I bravi insegnanti aiutano a creare [una] atmosfera [dove si accumulano un mucchio di informazioni, una grande banca dati di conoscenza memorizzata]. Indirizzano in modo attivo la curiosità di bambini e ragazzi, li aiutano a trasformare la loro curiosità diversiva in curiosità epistemica, che a sua volta comincia a costruire la banca dati che rende possibile la creatività». Proseguo a leggere, senza troppe diversioni (nell’occasione su Kindle, del cui creatore e distributore si potrà anche dire tutto il male possibile, ma che con un uso accorto consente tuttavia meraviglie che magari avercene avute quando eravamo ancora a scuola).

26 agosto

No, non è facile essere bravi insegnanti oggi, specie sulla scorta di tanta pedagogia, più e meno recente, che, alla luce di nuove ricerche, si è probabilmente sbagliata sul ruolo dell’educatore, convinta che bastasse lasciare gli allievi quanto più liberi di esprimere se stessi e una loro creatività innata, dunque senza bisogno di ricevere troppe sollecitazioni e linee d’indirizzo esterne. Essere un buon esempio, però, è già qualcosa; anzi, con i tempi che corrono, direi che è tanto.

26 agosto

“Ti manca quell’Ascoli lì, di fine anni ottanta?
“Boh, non saprei. Non l’ho mai vissuta tanto, in verità. Poi, a fine anni ottanta ero già un estraneo rispetto a quel mondo. Per dirla tutta, cioè, ero nel massimo dell’estraneità: straniero in qualunque posto. Se proprio dovessi ‘congelare’ Ascoli in una immagine sceglierei piuttosto un momento di metà-fine anni settanta; quella successiva la vedo già con molta sufficienza, con scarsissima passione. Manca la gioventù, questo sì; ma per il resto non so se seriamente manca anche l’Ascoli di venti-trent’anni fa. Era una realtà abbastanza soffocante, tutta rinchiusa in se stessa com’era. C’era sicuramente più genuinità, e anche più semplicità. Ma non che fosse questo gran splendore. Per certi aspetti forse è meglio oggi, anche se ha chiaramente perso in naturalezza, in sincerità, in spontaneità, per essere invece molto più leccata e artefatta da un lato e molto più degradata e buttata via da un altro”.

26 agosto

Mannaggia! L’anno scorso, con tutto che era un periodo pessimo, ci scappò comunque del buon mare (il giorno di oggi fu prima a Torre Pozzelle, nel comune di Ostuni, e poi a Torre Guaceto, tra Carovigno e Brindisi, in una sosta esplorativa prima di scendere ancora più a sud). Quest’anno, invece, a parte l’estate non estate, e a parte anche le scarsissime finanze (già impegnate, per altro, nella breve tappa in Germania), è proprio mancata la voglia di mare e di nuotare. Nei limiti del possibile, bisognerà cercare di rimediare un poco a settembre; altrimenti, come ci si arriva all’aprile e al maggio prossimi, con un autunno e un inverno che, per come vanno ora le cose, non penso saranno una ridente passeggiata, meno che mai un placido galleggiamento a poche bracciate dalla riva?

28 agosto

Quando ci capita tra le mani (o anche tra i piedi) qualcosa d’interessante, è giusto, è sensato lasciar perdere il resto e metterci a studiarlo. Ma non è detto che ci si debba sempre o soltanto far guidare dalla ricerca dell’interessante a priori. Alle volte, in realtà, anche un argomento potenzialmente noioso può, scendendo nei dettagli più minuti, diventare affascinante. Come osservò il compositore John Cage: «Lo Zen dice: se qualcosa diventa noioso dopo due minuti, vai avanti per quattro. Se è ancora noioso, vai avanti per otto, sedici, trentadue… Alla fine si può scoprire che non era affatto una cosa noiosa, ma anzi molto interessante». Insomma, tutto può essere o diventare interessante, se solo ci si colloca nella prospettiva giusta, se solo ci si dà il tempo di prestargli davvero attenzione. Ed è proprio su questa base che James Ward diede il là alla prima Boring Conference, dopo aver appreso della cancellazione della Interesting Conference del 2010. And this, to me, does sound truly interesting.

28 agosto

Una pausa in mezzo alla lettura (ché anche il leggere esige delle soste, non meno del lavorare, del camminare, del pensare) per abbozzare una o due domande: ma noi italiani (italiani intesi nella media e non nelle fasce estreme, né la alta né tantomeno la bassa) sappiamo davvero scrivere? Sappiamo ancora farlo bene? È un interrogativo che sorge facendo mentalmente il confronto tra il piacere che ricavo nel leggere tanti testi inglesi e americani nell’ambito della non-fiction (narrativa o meno che sia), del giornalismo e anche dei semplici blog, rispetto alla sostanziale ripulsa o alla scarsa attrazione che in genere, e specie negli ultimi tempi, mi suscitano gli equivalenti italiani. Se i primi brillano spesso per fluidità e ricchezza argomentativa, e anche per vibrante capacità di raccontare, di interessare, di coinvolgere, i secondi, oltre a denotare di frequente non poca pochezza e approssimazione in quanto vanno sostenendo, non è raro che pecchino viceversa di legnosità, artificiosità e alle volte anche una buona dose di pretenziosità, dando come l’impressione che chi scrive ci prova, sì, pure con tutta la buona volontà e tutto il bagaglio teorico e pratico di cui dispone, ma in realtà non gli riesce fino in fondo di farlo bene, con passione e sentimento e bravura autentici: sembra che gli manchi ancora più di qualcosa o, all’opposto, che non sappia ancora a rinunciare a qualcosa, tipo il volere a tutti i costi esibire, a tutti i costi fare colpo. (Per fare chiarezza, metto anche me, nel mio piccolissimo, in questo giudizio non entusiastico sugli italiani che scrivono, eh.) Boh, così, è giusto una mia impressione di pelle e nulla più. Ma nel caso avesse un remoto fondo di verità, a che cosa si potrebbe attribuire tutto ciò? Alla scuola? Alla tradizione (intendendo, con questa, non tanto il peso dei dialetti quanto la tendenza a usare negli scritti una lingua a momenti esageratamente aulica e pomposa e in altri quasi iniziatica, quasi volutamente oscureggiante. Vedi anche nell’ambito statale, della burocrazia)? Allo scarso esercizio? Alle scarse letture? Alla voglia a tutti i costi di dire e, ultimamente, scrivere e pubblicare qualcosa, anche solo sul web, anche se o quando non si è onestamente all’altezza?

Non vorrei qui dire troppe fesserie, non avendo particolari competenze in materia. Ma resta, di fondo, una sensazione che noi italiani non scriviamo particolarmente bene, in modo convincente, fluido, incisivo e appassionante allo stesso tempo. Altri, in media, mi sembrano farlo meglio, come se si applicassero di più e da più tempo rispetto a noi, come se partissero da basi più ampie e più solide; ciò che quindi gli consentirebbe, accanto a una più spiccata capacità argomentativa, anche una maggiore scioltezza e disinvoltura.

29 agosto

Partire sempre da un territorio noto, da qualcosa che già si conosce (alle volte, letteralmente dalla porta di casa propria), e mettersi in cammino, con mentalità e fare da nomade, per trovare e seguire una strada allo stesso tempo quanto più personale e quanto più aperta a tutto ciò che possono dispensare la vita e il mondo. Camminando in ogni caso s’impara, se si ha la bontà di prestare occhi e orecchi sufficientemente curiosi, attenti e reattivi a tutto quanto s’incontra strada facendo.

In buona sostanza, una delle tesi di Robert Twigger in Walk. A self-help book. Più che condivisibile.

29 agosto

“E la campagna come va?”
“Oh, è stata un’estate triste” rispose, con tono dimesso e una mezza alzata di spalle, il compaesano incontrato dalla dottoressa, appena prima di entrare nello studio per il suo turno. Poi, di nuovo, uscendo e risalutando: “È stata un’estate triste: s’è ammalato tutto. Ma che ci possiamo fare?!”
E ammalata l’estate lo era stata, eccome. Bastava guardare le foglie delle querce. Bastava guardare lei, la matriarca dove ogni tanto ti arrampicavi da piccolo, ammalatasi da un giorno all’altro a metà luglio, prima la parte esposta a nordovest, poi lentamente anche nel resto della chioma. Sarebbe sopravvissuta? Ora come ora era difficile sperarci. Ma magari anche lei aveva risorse insospettate, capaci il prossimo anno di farla tornare a verdeggiare.

29 agosto

Poi ieri, in un Lidl, all’orario di chiusura serale, l’incontro con un compagno del liceo: tu a curiosare tra gli articoli di ferramenta in offerta, di quelli pubblicizzati in tv (interessava in particolare l’affilacatene elettrico per catene di motosega: costo 29,99 euro, non un granché; a guardarlo bene, però, un granché non era nemmeno l’aggeggio, lasciato dunque lì. Presi invece, per diversi euro in meno, una solida tronchese di marca tedesca, una lampada frontale a led che può sempre venire utile nelle escursioni e in bici, un mini gilet segnaletico sempre utile andando per strada a piedi e in bici, e anche dei cerotti da taping per quando – ci si augura e ci si impegna perché non sia così – i quadricipiti dovessero tornare a cedere e i ginocchi riprendere perciò a scricchiolare senza posa); lui e consorte a fare una discreta spesa nel reparto alimentari. Trent’anni fa uno non l’avrebbe mai detto. Trent’anni fa, ma forse nemmeno cinque anni fa, non avreste mai pensato che sarebbe venuto un giorno in cui, in pratica, vi sareste così ridimensionati o, per meglio dire, sareste stati entrambi così attenti a non spendere più del consentito da finire a fare la spesa in un Lidl: uno per gingilli di uso pratico o sportivo, l’altro per roba da mangiare. Non ne avete parlato di questo, ma ci puoi giurare che in qualche angolo della mente lo avete pensato entrambi.

31 agosto

[Per sfinimento. O anche per divertimento.]

“Ti piace Teramo City by night?”
“Discreta e accogliente, direi. E poco cafona. Non male, perciò.”
“No, non male. Poco sbracata. Tante panchine. Tante piazzette e begli angoli verdi. Tante gelaterie e poche birrerie. Si respira cultura. E non guasta quel tocco di allegria multiculturale dei ragazzi stranieri che giocano a pallone davanti al duomo. Niente male!”
“E ci sono pure le librerie aperte di sera: bello quel libro di Antonio Franchini a prezzo stracciato, no? Solo due euro e novanta, roba che manco Abebooks… E di Ascoli City by night, invece, che mi dici?”
“Bella, ma fredda.”
“Per il travertino?”
“Non soltanto quello”.
“E che altro, allora?”
“La gente non dialoga.”
“Sarebbe a dire?”
“Non mi pare che tra le persone ci si parli molto. Più che altro ci si sbraca, o ci si pavoneggia. I ragazzi specialmente, ma non solo loro.”
“Dici?”
“Sì! Troppe birrerie e poche gelaterie, all’opposto di Teramo: è una differenza che salta subito all’occhio. Poi, nonostante i monumenti e le piazze non si respira cultura, ma una mentalità chiusa, da… paesone.”
“Ma Teramo è una città universitaria.”
“Appunto.”
“Appunto cosa?”
“C’è cultura!”
“Ma pure in Ascoli da diversi anni c’è l’università – vedi soprattutto Architettura – e non mancano certo i laureati.”
“Sì, ma non si nota molto. Peccato.”
“Perché, nella tua Pescara la cultura si nota?”
“Così così.”
“Spiega, spiega.”
“Avast! È notte fonda, sono morta di sonno e sto cominciando a sparlare.”
“Te la fili, eh?”
“Tanto lo so che con te non avrò mai l’ultima parola!”
“Sei proprio sicura?”
“YAWN!”

1 settembre

Ultima domenica di agosto – nell’occasione, anche ultimo giorno del mese – trascorsa perlopiù in territorio teramano, a dispetto della festa del paese. Girati così un po’ di posti, vecchi e nuovi, e fatti anche diversi confronti e commenti.

Appurato una volta di più, per esempio, che preferiamo le piazzette raccolte di un tempo, dialoganti con ciò che hanno attorno e che dunque assolvono a una vera funzione di incontro e di scambio, oltre che di relax, alle piazze sovradimensionate di più recente concezione e costruzione, di per sé magari belle, ma troppo spesso sganciate del tutto dagli edifici che le circondano, quando va bene separate da questi da muri di recinzione, quando va peggio anche da strade e parcheggi. Insomma, per farla breve, Sant’Egidio City batte Piane di Morro City, ci sta poco da fare. Nella prima si va volentieri per il mercato e anche per fare colazione, prendere un gelato o comprare il giornale. Nella seconda, col cavolo: se non ci vivi, ci puoi fare una visita, ma presto ne scappi.

Poi, a livello di borghi: se riescono a mantenere una loro vita discreta per tutta la durata dell’anno, senza conoscere solo vampate di attività e di presenze umane strettamente legate a qualche evento stagionale, culturale-artistico o mangereccio che sia, ok, hanno buone speranze di resistere nel tempo; viceversa, con la stessa rapidità e intensità con cui hanno attratto frequentatori rischiano di perderne. Con esempi concreti: Civitella del Tronto resta nettamente superiore a Castelbasso, malgrado le belle mostre estive che qui si organizzano.

E infine: il complesso abbaziale di Santa Maria di Propezzano, nel comune di Morro d’Oro. Ma come si fa a non tenerlo aperto, almeno d’estate, almeno di domenica? Perché uno dovrebbe telefonare per tempo a qualcun altro per programmare una visita? E come si fa a permettere ad appena dieci metri di distanza un bar con giocatori di carte che, ancora nel 2014, continuano a smadonnare quando il compagno sbaglia una giocata? Ci sembra un emblema perfetto dell’Italia che non valorizza per niente le innumerevoli bellezze e ricchezze patrimoniali di cui dispone, per continuare invece imperterrita a dare sfoggio del peggio di sé, proseguendo così nell’opera di scavarsi la fossa da sola.

1 settembre

Quando si dice idem sentire: con Claudio Magris si condivide sempre quasi tutto. Vai a contestargli, per esempio, quanto scrive oggi sul Corriere:

«la nostra società sembra aver perso, in generale, mordente, slancio, capacità di progetto e di protesta, passione. Ciò che manca, da qualche tempo, è soprattutto la passione politica, che ha contrassegnato – con le sue lotte, i suoi furori, le sue faziosità, i suoi ideali – la vita del Paese dal Dopoguerra (l’antifascismo e i diversi antifascismi, lo scontro tra comunismo e democrazia liberale, la tumultuosa crescita economica che portava con sé tensioni, entusiasmi e progressi sociali) agli anni dei governi Berlusconi, che scatenavano ancora amori e odi. L’ultima fiammata di irruente accensione degli animi è stato il Movimento 5 Stelle, che tuttavia non solo sembra affievolirsi, ma che non pare essere stato, a differenza di altre formazioni pur tendenti all’estremismo, una componente organica del Paese.

L’Italia sembra vivere stanca, depressa ma senza drammi, indifferente alla politica ovvero al proprio destino, giacché la politica è la vita della Polis, della comunità. Un Paese senza».

E senza uno scatto di qualche tipo, che ci resta? Di intonare il de profundis?

1 settembre

Settembre 1992:
Settembre. Torno sempre a sognare un amore
ogni anno a settembre, a desiderare un sovrappiù di calore:
perché dei giorni grigi d’autunno solo temo la tristezza,
perché nel freddo d’inverno è di aiuto una dolce carezza.

Settembre 2004 #1:
Se pensare potessimo
domani meglio di oggi
forse un sorriso illuminerebbe
il faticoso cammino
Ma di nubi è coperta la strada
e domani ci sarà
solo se sapremo ripensare
come ieri eravamo e oggi
come siamo diventati
come domani potremo tornare

Settembre 2004 #2:
Pensieri di ieri, pensieri di oggi
pensieri forse di domani
Pensieri su quello che siamo
quello che avremmo voluto o potuto essere
quello che forse saremo
Pensieri

E settembre 2014? Si comincia subito con pioggia e freddo. Ma, a dispetto di tutto, non ci sono troppi pensieri, specie quelli a vuoto. Il problema vero, mi sa, è solo che da un po’ troppo tempo scarseggiano i sogni.

Si riparte quindi da cosa? Di sicuro, non dal sognare la prossima estate, troppo lontana. Meglio ripartire da quanto di bello e di buono possono aver regalato i primi otto mesi dell’anno, facendone le linee guida anche per i giorni autunnali e poi invernali. Quindi, per cominciare: molta bici e molte camminate; se ci scappano, nuove mostre e magari altri viaggi nell’Italia più prossima; molte letture, e molto variegate; nessuna rinuncia a operare in proprio anche con parole e immagini; soprattutto, dopo tanto demolire, prosecuzione degli sforzi di ricostruzione e riconversione, su basi quanto più solide e nuove, e riciclando giusto il riciclabile.

Senza dimenticare la conquista probabilmente più bella del 2014: avere imparato a fare il pane e la pizza con il lievito madre! Anche se quando ti ci cimenti continui a dire che “No, non è venuto benissimo”, in realtà stai facendo progressi notevoli. Ed è bellissimo, ogni volta, mangiare e far mangiare qualcosa che hai fatto in tutto e per tutto con le tue mani!

1 settembre

Il faro dei sogni, quello che rischia di spegnersi del tutto se per troppo tempo si smette di alimentarlo?

2 settembre

Bisogna pretendere da se stessi, e non accontentarsi di fare il minimo sindacale, il minimo indispensabile per tirare avanti, magari prendendosela anche con questo o con quello se poi arriva il momento che le cose non vanno come dovrebbero o potrebbero. Nell’attimo esatto in cui tiriamo i remi in barca, ci condanniamo in qualche modo da soli.

2 settembre

Un caso esemplare, quello di Motorola, su come un’azienda possa giungere a dominare un particolare mercato nel momento esatto in cui in realtà sta iniziando il suo declino. Ovvero, di come un grande successo possa anche dare alla testa, facendo perdere di vista gli stessi fattori su cui quel successo era stato costruito: vale a dire, più di ogni altra cosa, un continuo processo innovativo; massicci investimenti – anche o soprattutto in capitale umano – in ricerca e sviluppo per essere sempre all’avanguardia; la realizzazione e commercializzazione di un numero limitato di prodotti ma di qualità super.

2 settembre

Il Kindle è di tutta immediatezza, praticità e anche utilità. Ma, chissà perché, l’arrivo di un ordine cartaceo mette ancora in corpo un’euforia che quello può soltanto sognarsela. Già vedere, toccare e annusare il cartoncino del pacchetto è un mezzo sballo. Quando poi prendi delicatamente in mano il libro che con tanto impeto sei andato a cercare appena hai letto un nome che istantaneamente ti ha fatto drizzare delle antenne, ah, la poesia. Chi è nato in un mondo in cui i libri erano ancora una merce rara e preziosa, che suscitava in pari misura attrazione e soggezione, difficilmente supererà mai questo feticismo per l’oggetto cartaceo ben fatto e confezionato.

2 settembre

Che tocca vedé! Ggià lu ddo de settembre a li cinque che la tazza de lu tè, pe quante llà fora è nu tempe mbusse e fraceche.

2 settembre

Chris Ware su «The Paris Review»: “It was the Peanuts collections in my grandfather’s basement office that really stayed with me through childhood and into college. Charlie Brown, Linus, Snoopy, and Lucy all felt like real people to me. I even felt so sorry for Charlie Brown at one point that I wrote him a valentine and sent it to the newspaper, hoping he’d get it. I’ve said it many times before, but Charles Schulz is the only writer I’ve continually been reading since I was a kid. And I know I’m not alone. He touched millions of people and introduced empathy to comics, an important step in their transition from a mass medium to an artistic and literary one.”

3 settembre

“Ce ne sta in giro di cenceria, no?”
“Una montagna?”
“Il 99 per cento dei vestiti dentro a ‘sti negozi so’ cenci.”
“Perché, quasi tutto il resto della roba che è? Anche tra i libri, ti pare se ne salvino tanti? Basta guarda’ le copertine e a uno appena appena un po’ esigente gli viene subito voglia di scappare.”

3 settembre

Quand’è, nel mondo, che è stato concepito e poi costruito il primo ipermercato, con tanto di musichette di sottofondo rintronanti e inebetenti, una diversa per ogni negozio? È lì, sembra ombra di dubbio, che possiamo datare l’inizio conclamato della fine, quando sul serio abbiamo cominciato a perdere del tutto ogni senso della misura. In Italia, in particolare, l’importazione di questo modello idiota sembra aver segnato – ma va là! – lo scatenamento del peggio del peggio. Cioè: profonda ammirazione (in realtà estrema compassione) per chi riesce ancora ad uscire da una o due ore in un centro commerciale pensando: “Ma come si sta bene lì dentro. Non vedo l’ora di tornarci”. O addirittura: “Magari potessi lavorarci”.

3 settembre

“Non è che stai accarezzando l’idea di scrivere qualcosa?”
“Io scrivere? No, no. C’è già chi lo fa – cioè, se mi desse un po’ più ascolto, saprebbe e dovrebbe farlo – anche per me. A meno di non provare a dare vita a una nuova coppia alla Age&Scarpelli o Rulli&Petraglia. Ma in tal caso, hai voglia a magna’ patate!”

4 settembre

E senza badare troppo a Renzi e alla sua “renzite”, qui si continua a leggere, continuando altresì a vedere scritto «OSTACOLI in maiuscolo, perché, nel cammino verso il successo, identificare e superare gli OSTACOLI è una prassi fondamentale». E uno degli OSTACOLI maggiori, nella vita di tutti i giorni, è un protratto barcamenarsi tra presente e passato, per necessità o per scelta, quando in realtà è quanto più al futuro che dovremmo guardare, con quanto più impeto e quanta più passione riusciamo ancora a richiamare dalle nostre menti e membra fiacche e immalinconite. E perdere di vista ciò, questa sì che è una grave malattia, altro che l’annuncite, la supplentite, la riformite o anche la renzite.

4 settembre

Traducendo all’impronta da Walk. A self-help book, di Robert Twigger:

«[Di fronte a ciò che ci suscita pensieri negativi, scegliere di concentrarci su qualcosa di diverso.] Ne siamo capaci tutti, non ci vuole alcuna forza di volontà. È necessario il desiderio di farlo. Forse anche la curiosità. Bisogna abituarsi a scegliere su che cosa fissare lo sguardo quando la mente diventa “occupata”. Ripensando al passato, per esempio, decidere di mettersi in una prospettiva tale da poter cogliere qualcosa di positivo. Un modo immediato è modificare la scala temporale: in una prospettiva più lunga gli eventi cambiano di significato. E se ciò conferisce loro una luce più positiva, adottare quella prospettiva».

6 settembre

Rivestire oggi, anche per poco, giusto il tempo di rivedere come ci si stava, i panni di ieri, quelli che hai fatto tanto per liberartene? Una volta, per sfizio, per curiosità, per gentilezza o soltanto per incapacità di dire no, forse anche sì. Di più, certo che no. Figurarsi con quelli dell’altroieri.

15 settembre

“Ma di’, ti manca Facebook, dieci giorni dopo essertene ristaccato?”
“Non direi. Superati i primi due o tre giorni di assenza, non si soffre granché a esserne lontani. Restandone fuori si perde sicuramente in interazioni e conversazioni, ma si guadagna alla grande in tempo da dedicare ad altro e, non ultimo, in una maggiore concentrazione e attenzione in ciò che si fa. Perciò non mi stupirei se un giorno qualcuno scrivesse un libro specificamente sul ‘grande inganno’ dei social media, come già altri lo hanno fatto per quello del web 2.0.”