Quale presente? Quale futuro?

Non piace dirlo, no. Non piace buttarsi e buttare giù, per il puro gusto di farlo, più di quanto, e spesso del tutto immeritatamente, uno non sia già di suo. Ma ovunque ci si giri, oggi in Italia, come non cogliere una situazione galoppante di sfaldamento e di sfascio senza fine apparente? Che siano la politica o l’economia, l’ambiente o l’industria, la società o la cultura: crisi su crisi, misfatti su misfatti, disastri su disastri. E da ogni lato particolarismi e scissioni, tiri al piccione, tira e molla, tirarsi fuori e tirare a campare, distinguo e disprezzo, disistima e disamore ogni giorno in misura crescente.

Da qui un sentimento di angoscia, quando non disperazione, sempre più palpabile, piuttosto comune. Si cerca magari di minimizzare, pensando e dicendo che tutto sommato non stiamo ancora messi così male, o individualmente o come famiglia o come paese. Ma un po’ tutti avvertiamo, o per diretta esperienza personale o tramite qualche persona a noi abbastanza vicina, una situazione di pesante deterioramento, di arretramento, a momenti di vera disgregazione.

Crescono allora il senso di incertezza, la paura, il disgusto, talora l’odio, e in generale un profondo scoramento. E non è bello, affatto. Perché, su queste basi, quale presente? Quale futuro?

Sono interrogativi con cui fare i conti. Fuggirli non ha senso, non lo ha mai avuto. Bisognerà, per questo, rimettere mano a molto del nostro vissuto quotidiano, più, e con maggiore lucidità e coraggio e incisività, di quanto non stessimo già facendo.

Giusto, perciò, sforzarci anche di rincuorare chi a tratti può sentirsi addirittura più scoraggiato di noi. Giusto dire, a dispetto del profondo pessimismo che può esserci connaturato, che sì, possiamo ancora nutrire speranza, se solo lavoriamo per rinnovarla, la speranza. Che un primo fatto da cui partire sarebbe probabilmente cambiare «le teste che ci governano». Che, benché sia chiaro che oggi come oggi (ma sarebbe più corretto dire oggi come sempre) non abbiamo tutti i poteri per farlo, molto dipende sicuramente da noi, dalle scelte che facciamo con la nostra di testa, nell’urna e fuori dall’urna. Che possiamo quindi fare ancora molto, se solo lo vogliamo, per tenere viva la speranza: c’è solo da non demordere, da continuare a lottare.

Perché la vita è questo, in fin dei conti: lotta, resistenza, tenacia, ostinazione, intelligenza e passione nell’agire, superare le difficoltà e spingersi oltre.

Perché sono comprensibili la stanchezza e la demoralizzazione e il senso di schifo per tante, troppe cose: è un sentimento comune. Ma pensiamo per esempio ai nostri nonni: quante ne avranno dovuto passare sotto il fascismo, durante la guerra e anche subito dopo la guerra? Pure, loro la speranza non se la sono fatta mai mancare e hanno continuato a vivere, ad amare, a procreare, a resistere, a lottare, a innovare, a guardare avanti. Lo stesso i nostri genitori, anche se già più fortunati. Lo stesso toccherà a noi, per tutta la vita, come a figli e/o nipoti dopo di noi. Non c’è altra via.

È chiaro che genitori e nonni erano sostenuti e favoriti dalla prospettiva di avere davanti a sé un futuro migliore per sé e i loro figli, mentre nel nostro caso siamo alquanto depressi e paralizzati dall’idea e ormai dalla consapevolezza che forse il futuro, quantomeno quello immediato, non sarà così radioso come potevamo averlo immaginato, bensì pieno di difficoltà e ostacoli, con molto da ripensare e ristrutturare. Però… però è qui che si vedrà di che pasta siamo fatti davvero, se siamo dei mollaccioni o dei combattenti, se siamo capaci di intelligenza e passione e visione o soltanto di stucchevoli e sterili lamentazioni.

A noi la scelta di come vorremo essere ricordati.

Insomma, giusto ribadire che non sono tempi facili, no, soprattutto per chi ha figli/nipoti sulla soglia dell’adolescenza, in piena adolescenza o appena superata l’adolescenza e avviati verso un mondo adulto, oggi alquanto insidioso o comunque incerto. Sono tanti i pensieri e i timori. Ma non si può vivere procedendo sempre con il freno a mano tirato. I freni, necessari in tante occasioni, in altre bisogna allentarli. E più spesso di quanto immaginiamo, occorre anche imprimere slancio e fiducia nelle capacità proprie e altrui.

Perché alla fin fine il mondo (e noi con esso) non è, a dispetto di tutto, così deteriore come in certi momenti può apparire.