In conclusione

Non ti piace più commentare. Non ti piace più intervenire in discussioni che, per quanto possano riguardarti direttamente e dunque interessarti, non di rado sfociano in prolisse quando non sterili diatribe, che sostanzialmente lasciano ognuno della sua opinione iniziale.

Non ti piace più, in particolare, intrometterti in discorsi che hanno per tema i problemi dei traduttori; delle case editrici che pagano male o tardi o che non pagano affatto; dei libri e dei giornali che non si leggono e dunque non si vendono; dell’editoria in genere che non vive, eufemisticamente parlando, anni strepitosi, con la naturale conseguenza che molte sue ultime ruote del carro – compresi dunque, spesso, tanti traduttori – non se la passano affatto bene.

A volte succede però che non riesci a trattenerti e ad astenerti fino in fondo. Succede che quel vecchio vizio di voler dire la tua – più o meno a proposito oppure no – riaffiori. E succede magari che il tuo intervento – sempre rimandato, dunque tardivo o fuori tempo massimo – chiuda anche la discussione. Come in qualche caso succede che in seguito se ne perdano completamente le tracce.

E poiché non per niente hai una sezione del sito intitolata proprio Tracce, ecco che in genere ti piace riportare anche sul tuo blog del momento quello che hai già scritto altrove, per conservarne in qualche modo memoria.

Nell’occasione, il commento che segue era in coda a una discussione su minima&moralia, il 12 maggio, un po’ nel tema e un po’ no, più che altro a voler provare a tirare una piccola conclusione.

Leggere si legge – perlopiù a gratis o con pochissima spesa (giusto il costo del connettersi). E anche scrivere si scrive (vedi qui, per esempio, nei post e nei commenti), così come si traduce – di nuovo, però, se non del tutto a gratis, molto a basso costo, per forza di cose. E anche la pornografia, mi sa, oggi non se la passa più troppo bene – di certo, non come una volta: ti viene sbattuta davanti a iosa e, senza fare alcuna fatica a cercarla, prevalentemente a gratis. Né più né meno che la scrittura, a conti fatti. E alla fine, di fronte a questa super abbondanza semi-gratuita, rischia pure di passarti la voglia – sia a leggere, sia a scrivere/tradurre, sia a guardare porno. Il troppo stroppia, come ben dice il proverbio. Prendiamone atto.

Presto o tardi che sia, magari la tendenza si invertirà: si tornerà cioè a voler pagare (bene) per leggere meno ma meglio, e di conseguenza forse si sarà di nuovo (ben) pagati per scrivere/tradurre meno ma meglio. E, chissà, anche la pornografia potrebbe seguire lo stesso andazzo, o per meglio dire anticiparlo (perché è questa che dètta sempre le tendenze, non il contrario**).

Ma oggi come oggi, c’è da crederci? C’è da sperarci? È bene tutti quanti interrogarci un po’ su questo (e su molto altro ancora).

Non che tutto il meglio (fino a certo punto “meglio”, poi) sia ormai alle nostre spalle; di sicuro, però, il presente e più ancora il futuro ci mettono davanti a molte più incertezze che certezze (come diceva Ilya Prigogine, «nell’universo delle probabilità, l’incertezza è l’unico punto fermo»*). E non è detto che questo sia per forza un male: sta a noi, chi più chi meno, contribuire a plasmare un nuovo corso e non rassegnarci al vecchio.

* Al momento di commentare non l’hai specificato, per non tirartela, ma qui puoi farlo, essendo il tuo spazio: è tua la traduzione di quella frase di Ilya Prigogine, in un pezzo del 1998 per la rivista «Telèma». E ti verrebbe da aggiungere: bei tempi quelli di fine anni Novanta, davvero, e non solo per le traduzioni. Ma la vera conclusione è: guardiamo avanti, non pensiamo troppo alle vecchie glorie ma facciamoci di nuovo interpreti di novità quanto più sorprendenti.

** E, infatti, guarda qua: il lancio di una prima campagna per sensibilizzare a pagare i contenuti, pena il loro scadimento.