Tre punto zero?

Di nuovo, quella mattina, aveva letto che era «tutto un problema di scelte. E di priorità». Dunque, meglio «fare meno, ma farlo meglio».

Concordava. Pensava da tempo che quasi in ogni campo bisognasse orientarsi verso un po’ meno cose, e alle volte anche un po’ meno persone, ma le une e le altre di qualità più elevata.

Nel campo delle cose scritte, in particolare, riteneva utile sacrificare e ridimensionare la lettura di testi concepiti espressamente per il web (e non sempre – anzi di rado – pregevoli), a beneficio di testi con ben altri controlli e imprimatur, quindi, almeno in teoria, di maggiore qualità.

E, no, non era sciocco “benaltrismo” quello; era semplice, doveroso, sano “filtrare”.

Confessava allora senza pudori che, da quasi un anno, le sue letture sul web erano in forte regressione (non meno di quelle di giornali e riviste su carta, divenuti oggetti di scarsa rilevanza, quando un tempo non troppo remoto lo erano di pura venerazione). All’opposto reggevano, e a periodi anzi si impennavano (in netta in controtendenza, così, rispetto alle statistiche nazionali), le letture libresche.

Che cosa stava succedendo? Che si trattasse dell’avvio di una fase 3.0 della sua vita in rete?

La prima internet (1995–2002) era stata una scoperta esaltante, fonte di un innamoramento e una passione travolgenti, con un crescendo di ebbrezza e rapimento estatico.

La seconda (2003–2012), già senza più il candore e l’ingenuità e lo slancio entusiastico degli inizi, nei fatti fu più un baccanale e una gozzoviglia senza fine che un’esperienza autenticamente espressiva e vitale.

La terza (2013-?) era per ora la malinconia lucida e lo sguardo a tratti perso a tratti apatico a tratti irato a tratti fulgido del doposbornia, con la ridestata consapevolezza della vanità e vacuità o falsità di quasi tutto il gran cianciare quotidiano. Insieme al fervido desiderio non di rimettere indietro le lancette dell’orologio, evitando, per quanto possibile, che il presente e di conseguenza il futuro continuassero a dileguarsi come fumo al vento.

Era vero, come scriveva Granieri, che «la nostalgia non è una strategia». Era altresì incontestabile ammettere che «cambiare continuamente è faticoso».

Ma se il presente dava sempre più spesso la sensazione di andava a rotoli, e se al tempo stesso sentivano di non avere più troppe energie per cambiare di nuovo, senza posa, che fare?

Se un ritorno al cento per cento al passato non era mai una soluzione praticabile, e se tuttavia il presente così com’era era altamente discutibile, che piega far prendere al futuro affinché non fosse parimenti deprecabile?

Recuperare e salvare il meglio o il meno peggio del passato, per provare a coniugarlo con il meglio o il meno peggio del presente, buttando a mare quasi tutto il resto?